POLITICA DELLE ARMI E ARMI DELLA POLITICA di Barbara Spinelli

POLITICA DELLE ARMI E ARMI DELLA POLITICA POLITICA DELLE ARMI E ARMI DELLA POLITICA Barbara Spinelli la guerra precipita, non è alla politica che si ricorre ma a un'ennesima guerra. Anche in questo la somiglianza con Israele è impressionante. La guerra in Afghanistan s'insabbia, e Washington apre il fronte iracheno. S'insabbia il conflitto iracheno, e si pensa a nuovi conflitti armati, lasciando Israele combattere il terrorismo con l'esclusivo uso delle rappresaglie. Per Israele non è stato diverso negli ultimi decenni. E' fallita la guerra in Libano, e i dirigenti israeliani hanno guerreggiato in Cisgiordania e Gaza. La stessa guerra dei sei giorni, nel '67, fu un tradimento di Clausewitz. Fu un trionfo militare accoppiato a una sconfitta politica. Invece di restituire subito i territori occupati Israele li ha colonizzati, tramutando quello che era stato uno scopo tattico in obiettivo strategico. I liberali d'Israele lo ripetono spesso: «Abbiamo perso la guerra del '67 al settimo giorno, politicamente e moralmente, tenendo territori che avremmo subito dovuto restituire». L'attuale guerra in Medio Oriente non è disgiunta da quella che Bush combatte in Afghanistan con l'Onu, e in Iraq senza Onu: Ariel Sharon ha appeso le sue sorti a quelle deDa guerra globale contro il terrore, e continua a non voler esaminare le cause locali del suo conflitto. Sicché sono tre oggi i fronti bellici - Afghanistan, Iraq, territori palestinesi - e in tutti i fronti esiste il rischio, reale, di una disfatta pobtica multipla. Primo rischio di disfatta: il terrorismo continua e anzi si acuisce, unificando tre fronti che potevano esser tenuti divisi. Esso ha anzi affinato i suoi ragionamenti pobtici, e l'attentato di martedì a Baghdad lo conferma. Simili in questo alla nostra mafia degli Anni Novanta, le centrali terroriste fanno politica, con l'arma degli attentati: si inseriscono nelle discussioni tra Usa, Onu ed Europa, approfittano del bisogno che Bush ha delle Nazioni Unite, e uccidono proprio Sergio Vieira de Mello, che anticipava con la sua azione in Iraq il proseguimento politico della guerra-occupazione americana. Secondo rischio: le relazioni tra America e Inghilterra sono forse destinate a frantumarsi durevolmente, a seguito dell'affare legato alla morte di David Kelly, l'esperto in armi di distruzione di massa che aveva espresso le sue riserve alla Ebe e a tanti altri interlocutori. Ormai è chiaro che una guerra fu lanciata in marzo senza che esistesse un pericolo d'imminente aggressione da parte di Saddam: un'uguale menzogna vede accomunate Inghilterra, America e Australia. Furono manipolati dossier, discorsi, pur di salvaguardare il legame privilegiato tra Londra e Washington. I futuri dirigenti britannici saranno ben più circospetti, in futuro. Non metteranno in pericolo il proprio prestigio morale, pur di compiacere la Casa Bianca. Terzo rischio: l'America voleva invalidare l'Onu e perfino la Nato, ma ora è sola e vulnerabile. E' una falsa iperpotenza. L'Onu può ora dettare le sue condizioni, soprattutto dopo l'attentato di martedì: o ci date vere responsabibtà di comando, o non vi assisteremo in Iraq. Guaito rischio: concerne l'avvenire della mondiabzzazione, meno ordinato di quanto si potesse sperare prima dell' 11 settembre. Il mondo è di nuovo diviso lungo linee ideologico-religiose, e con le sue guerre in serie l'amministrazione Usa dà l'impressione di voler combattere contro l'Islam in genere, non contro questo o quel dittatore. Sono tanti rischi, che gradino dopo gradino minacciano da vicino le arti della pobtica. A due anni dall' 11 settembre conviene forse rileggere Clausewitz, e riscoprire che le armi della politica e non la politica delle armi sono il vero scopo delle guerre, quando queste sono condotte con giusto senso delle proprie e delle altrui possibibtà. Altrimenti le vittorie mibtari si tramutano presto, come la storia spesso dimostra, in disfatte pobtiche.

Persone citate: Ariel Sharon, Bush, Clausewitz, David Kelly, Politica, Sergio Vieira De Mello