Sette insospettabili autori dei cidostili delle nuove Br di Massimo Numa

Sette insospettabili autori dei cidostili delle nuove Br Sette insospettabili autori dei cidostili delle nuove Br Individuati dall'anti terrorismo i redattori della rivista «L'Aurora» Nei fogli la rivendicazione politica degli omicidi D'Antona e Biagi Una COpia era Stata inviata a dei Sindacalisti FinCantieri di MeStre il caso Massimo Numa IL 12 marzo del 2003, da un ufficio postale di Torino centro qualcuno inviò ai sindacalisti della Fincantieri di Mestre una busta con una rivista, «L'Aurora». Nella «0» di Aurora, c'era la stella a cinque punte delle Brigate Rosse. La gente della Fiom chiamò subito la polizia e fu aperta un'indagine, coordinata dal procuratore aggiunto di Torino, Maurizio Laudi, e anche dai colleghi di Venezia. La rivista è formato A4, stampata con la vecchia tecnica del ciclostile. Una ventina di pagine, scritte fittissime, la grafica severa interrotta da un paio di fumetti. Linguaggio vetero-brigatista, tema di fondo un duro attacco alla concertazione sindacale, la rivendicazione politica dei delitti D'Antona e Biagi, l'obbligo dell'azione eversiva contro le istituzioni e le tracce di un aperto dissenso con i «compagni» della colonna del Centro Sud, l'unica attiva, definita «avventurista» e «inadeguata sotto il profilo militare». Dopo sette mesi di indagini, gli inquirenti hanno individuato i redattori torinesi de «L'Aurora», forse gli stessi che, nei primi Anni Novanta, costituirono la «Cellula per la ricostruzione del partito comunista combattente», nata dal processo di disgregazione delle Brigate Rosse, falciate dai pentiti e dall'azione congiunta di polizia e carabinieri, e degli altri gruppi terroristi nati dalle ceneri Br, da Prima Linea agli Ncr (Nuclei comunisti rivoluzionari) e Ocr (organizzazione comunisti rivoluzionari), attivi sino alla seconda metà degli Anni Ottanta. Con molte sorprese: sono 7 le persone che, di fatto, fanno parte di Non è stato difficile, per gli investigatori dell'Antiterrorismo, disegnare prima l'identikit dei sostenitori della lotta armata a Torino e poi di individuarli. Li definiscono, gli inquirenti, «potenzialmente pericolosi, nostalgici della clandestinità e degli attentati». Fanno parte della generazione di mezzo, cioè tra i vecchi leader storici delle Br e l'ala più movimentista dell'eversione. Età tra i 40 e i 50 anni, una solida preparazione di base, lavori stabili e famiglia normale; un infermiere, impiegati pubblici, ricercatori, insegnanti. Nessun contatto con le organizzazioni di estrema sinistra e più in generale con il mondo dell'antagonismo radicato nella rete dei Centri Sociali. Uomini e donne che, in passato, potrebbero avere sfiorato, con ruoli minori, le organizzazioni più importanti, dalle Br a Prima Linea, passando per gli Ncr e gli Ocr, passati indenni dalle confessioni dei pentiti e dalle indagini che, alla fine degli Anni '80, smantellarono le organizzazioni terroristiche. Persone che non vogliono rassegnarsi alla sconfitta del progetto politico delle Br. Critici verso la colonna del Centro Sud, che ha assassinato Massimo D'Antona e Marco Biagi, rea di avere alle spalle una struttura «inadeguata e debole sotto il profilo militare». La rivista «L'Aurora» viene stampata in casa, con un antico ciclostile e poi distribuita solo a persone di assoluta fiducia. Obiettivo, decidere le azioni del partito armato. quello che gli inquirenti - le indagini sono coordinate da Roma e coinvolgono le Digos di tutta Italia - definiscono un sofisticato «laboratorio ideologico» del terrorismo rosso. Donne e uomini. Insospettabili: un impiegato nel settore delle telecomunicazioni, dipendenti pubblici e dell'università. Ceto medio, lavoro stabile, età tra i 40 e i 50 anni. Nessun precedente specifico, se non qualche labilissimo collegamento con il gruppo delle carceri, cioè gli irriducibili. Contro di loro nessuna imputazione, per ora. Solo un attento controllo, per prevenire quel salto di qualità che gli inquirenti definiscono così: «Tentare di stabilire quanto manca a premere il grilletto di una pistola». «L'Aurora» viene diffuso all'interno del movimento eversivo che, tanto per essere chiari, appare nettamente diviso dal variegato arcipelago dell'antagonismo torinese e dei Centri Sociali. I militanti della Cellula lo inviano a persone ritenute «sicure», utilizzando sistemi in apparenza antiquati ma in realtà molto più impermeabili ai controlli sia della Rete che dell'elettronica. Niente telefoni fìssi, niente cellulari. Ma lettere scritte con il vecchio ciclostile di moda ai tempi di Curcio e Franceschini, i leader storici delle Br, inviate per posta o recapitate direttamente. La copia de «L'Aurora» non è stata inviata solo alla Fincantieri di Mestre, come era stato ipotizzato nel marzo scorso ma a un'altra decina di Cub, Rdb e Cobas del Nord. Perchè? «Semilice - spiegano gli inquirenti oro ritengono di rivolgersi a chi è in grado di recepire le loro posizioni ideologiche. Individuano mi possibile target, vincendo la naturale diffidenza e il timore di essere individuati e scoperti». Invece, a marzo, i militanti avevano improvvisamente alzato il tiro, consentendo così agli uomini dell'Antiterrorismo di individuarli uno per uno. E' stato comparato il linguaggio, il lessico, di tutti gli ultimi documenti delle Brigate Rosse (rivendicazioni Biagi e D'Antona, quel poco trovato addosso alla Lioce, arrestata dopo la sparatoria costata la vita a un agente della Polfer) e gli scritti de «L'Aurora». I torinesi si sentono di far parte di una ristrettissima élite, un'avanguardia rivoluzionaria, e sono ancora nella fase di elaborazione su come portare avanti la lotta armata. Gli altri, il gruppo Lioce-Galesi appare ormai in preda a una fredda disperazione. Le parole che descrivono una sensazione diffusa di stanchezza e di isolamento sono sempre più numerose: sono portatori di un progetto strategico politico fallito e superato dalla storia. Hanno fatto la scelta di combattere ormai solo per se stessi. Totalmente isolati dalla società, senza alleati, in uno scenario profondamente diverso da quello in cui operavano, negli Anni 70, le Br. Forse, per questo, ancora più pericolosi e imprevedibili. A Torino e Milano i dirigenti delle Br ci sono stati, probabilmente. Ma, se è davvero accaduto, solo per un «confronto dialettico». E non operativo, pensano gli inquirenti. I primi segnali che in città era attiva una cellula eversiva, risalgono esattamente al luglio del 1999, dopo l'omicidio D'Antona. Allora ci fu un vertice tra i pm di Roma, Milano, Firenze, Napoli e Venezia. Su muri di Torino e all'interno della Fiat erano infatti comparse scritte inneggianti alle Br, anche se poteva essere, disse Laudi, «soltanto il segnale di un consenso che sino all'omicidio D'Antona non aveva avuto il coraggio di esprimersi». L'attenzione si era infine spostata su un documento firmato da cinque br irriducibili (Francesco Aiosa, Ario Pizzarelli, Cesare Di Lenardo, Stefano Minguzzi e Daniele Bencini): il riconoscimento ufficiale dei nuovi brigatisti. Anni di silenzio, a Torino, città chiave per capire la nascita e l'evoluzione del terrorismo di sinistra. Sino alla comparsa de «L'Aurora» con la stella a cinque punte e la solita guerra totale al Sim, Stato Imperialista delle Multinazionali. Dopo la disgregazione degli Anni 80, Torino torna a essere vista come un laboratorio ideologico delle rinate cellule dell'eversione rossa Le scritte alla Fiat all'indomani dell'assassinio del consufente del ministro Sassolino tra i primi segnali della ripresa dell'attività DIETRO LA STELLA A CINQUE PUNTE D ìDRTE n ì«J«rt «sunto ?'ln(ywrico «critagltìa l'f Mcv^s» il Siv»13c dcljo'acmCro' r.«.ì. c«At»3t» «Soli* ^WMxa Ai ti»»»« ài. 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