Fmi e Banca mondiale al Wto «Giù i dazi per aiutare i poveri» di Luigi Grassia

Fmi e Banca mondiale al Wto «Giù i dazi per aiutare i poveri» LE GRANDI ISTITUZIONI PRENDONO POSIZIONE SUL NEGOZIATO DI CANCUN Fmi e Banca mondiale al Wto «Giù i dazi per aiutare i poveri» L'Organizzazione del commercio invoca «più traffici fra Sud e Sud» Uè e Usa ottimisti dopo il pre-accordo (senza cifre) sult'agricoltura Luigi Grassia I massimi sistemi dell'economia globale si mobilitano in vista del vertice di Cancun fra il 10 e il 14 settembre sulla liberalizzazione dei commerci. Ieri il direttore del Fondo monetario intemazionale, Horst Koehler, e il presidente della Banca mondiale, James Wolfensohn, hanno spedito una lettera al direttore generale dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto), Supachai Panitchpak, esortando i Paesi membri a raggiungere un accordo che possa aiutare in particolare quelli in via di sviluppo. Quanto al Wto, ha diffuso le 270 pagine di uno studio secondo cui gh Stati poveri dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina trarrebbero grande giovamento da una riduzione dei dazi che tali Stati impongono alle importazioni gh uni dagli altri: facilitare i traffici «fra Sud e Sud» aiuterebbe questi Paesi a trovare delle nuove fonti di reddito, anziché trovarsi ad avere (come adesso) il «Nord» industrializzato come unico o prevalente mercato. Tutte queste prese di posizione sono destinate a incontrare l'approvazione di chi crede nelle virtù di una possibile globalizzazione buona, mentre susciteranno ulteriore diffidenza in chi già non ama istituzioni come l'Emi, la World Bank e il Wto: per esempio, si può sospettare che l'invito ai Paesi sottosviluppati a ridurre i dazi fra di loro serva, in realtà, a indurli ad abbassare la guardia in generale, dunque anche nei confronti dei Paesi ricchi, che invece tengono ben protetti i loro mercati. Il rapporto 2003 del Wto diffuso ieri sottolinea che i dazi dei Paesi del Terzo mondo sono ammontati nel 2000 a 83 miliardi di dollari, pari al 600Zo di quelli incassati in quell'anno in tutto il globo; i Paesi sviluppati, con un volume di commerci enormemente maggiore, hanno introitato soltanto il rimanente 400Zo. Ai Paesi poveri questi alti steccati doganali che essi stessi dispongono alle frontiere possono apparire un modo per tutelare le rispettive produzioni dalla concorrenza straniera, e anche una buona fonte di introiti per le casse pubbliche. Ma il Wto ne sottolinea i risvolti negativi: i forti dazi di un Paese del Sud non fermano, di solito, le merci provenienti dal Nord del mondo, mentre scoraggiano e bloccano (quasi sempre) quelle in arrivo dagli altri Paesi del Sud. La conseguenza è che il commercio Sud-Sud si sviluppa molto lentamente: nel 1990 corrispondeva soltanto al 6,50Zo dei traffici mondiah complessivi e nel 2001 è salito al 10,70Zo ma concentrandosi in una manciata di Paesi asiatici in via di industrializzazione. Il fatto che le «periferie» del mondo commercino con il «cen¬ tro» ma non fra di loro, rappresenta una debolezza, perché così i prodotti delle periferie si trovano a subire il ciclo economico dei Paesi del centro, o anche solo i capricci dei gusti dei loro consumatori, e non trovano mercati alternativi su cui rifarsi. Il fatto che il centro sia in realtà costituito da tre poh (Usa, Europa occidentale e Giappone) non cambia nulla, perché le economie sviluppate tendono a convergere, soprattutto in quest'epoca di globalizzazione. Cambiare la situazione è oggettivamente difficile, in quanto, per fare un esempio, un Paese africano ha bisogno dei prodotti industriali in arrivo dalla Francia o dah'America ma difficilmente di quelli del Paese africano confinante; questi ultimi già soffrono di svantaggi dal punto di vista della qualità, delle reti di trasporto, dei tempi di consegna e deUe capacità di marketing; se poi li si stronca imponendo loro dei dazi elevati, è certo che tali industrie bambine resteranno sempre bambine, per quanto creativi ed entusiasti, fino all'eroismo, possano essere gh imprenditori locali (una rivista come JeuneAfnque dedica costante attenzione a questi personaggi). La questione si pone in termini analoghi neUe più evolute America Latina e Asia orientale, dove alcuni organismi di commercio multilaterale sono nati (Mercosur, Asean) ma sono stati finora più effica¬ ci nel far parlare i diversi Paesi con ima voce sola nei confronti di terzi (cosa comunque utile) che nel promuovere l'abbattimento delle baniere. Eppure un atto di coraggio servirebbe per partire. Per tornare a parlare dei Grandi, ieri il capo negoziatore sull'agricoltura, Stuart Harbinson, ha detto al Financial Times che la recente pre-intesa tra Uè e Usa sul taglio di tariffe e aiuti all'agri¬ coltura sarà propedeutica a un vero accordo a Cancun e farà da battistrada anche per altri settori. Fonti vicine al negoziato hanno spiegato che «una cornice senza numeri è, per ora, il modo più realistico di andare avanti». Osservando le trattative diplomatiche dall'esterno, spesso si stigmatizza la mancanza di dettagli come difetto. A volte invece l'ambiguità è cercata ed è virtù. Fra Paesi in via di sviluppo il 10,707o degli scambi e il 60o7o delle dogane pagate in tutto il pianeta Così restano dipendenti dai mercati del Nord

Persone citate: Horst Koehler, James Wolfensohn, Stuart Harbinson, Supachai Panitchpak