PHOIDMATIC esercizi di identità di Marco Belpoliti

PHOIDMATIC esercizi di identità LA CABINA AUTOMATICA PER FOTOTESSERE TRA STORIA, ARTE E CINEMA: UNA PICCOLA INVENZIONE DAGLI SVILUPPI IMPREVEDIBILI PHOIDMATIC esercizi di identità Marco Belpoliti N" EL1963 la moglie di un collezionista d'arte americano, Ethel Seuil, chiede a Andy Warhol un proprio ritratto. Fino ad allora l'artista ha fatto posare i suoi modelli davanti alla sua polaroid. In questo caso decide diversamente. Va in taxi sino a Times Square con la signora, che si è recata da lui indossando un ahito di Christian Dior. Ij, nel cosiddetto ((portico dei divertimenti», come racconta Bourdon nella biografia dell'artista (Warhol, Abrams 1986), la fa entrare nella cabina automatica per fotografie. Introduce un quarto di dollaro nella fessura e le dice: «Ora sorridi e parla, tutto ciò mi sta costando del denaro». L'operazione si ripete parecchie volte. Intanto Ethel, seduta sul suo seggiolino, si accarezza, fa delle smorfie, mostra i denti, si tocca il viso e il mento, si aggiusta i capelli, si mette e si toghe gli occhiah da sole, si passa la mano sul collo. Posa per oltre cento scatti assumendo diversi atteggiamenti: svagata, pensosa, divertita, sbarazzina, graziosa, seducente, imbarazzata, esuberante. Tornato nel suo studio Warhol sceghe le immagini di Ethel che più gli piacciono e le stampa su pannelli nel formato di 20x16 pollici. Il risultato è Ethel Seuil Thirty-Six Times: 36 immagini tratte dalle fototessera automatiche, tanti quanti sono gli scatti di un rullino fotografico (in realtà sono solo 17 immagini, poiché alcune vengono ripetute più volte, invertite o stampate in colori diversi); come in altri ritratti, tra cui quelli di Marilyn e Mao, le fototessere sono serigrafate su tele dipinte e colorate con pastelli. Con Andy Warhol la photomatic - così si chiama la cabina automatica per fototessere - entra ufficialmente nella storia dell'arte. Lo stesso anno Warhol usa la medesima tecnica per realizzare una doppia pagina su Harper's Bazar e l'anno successivo, in ima personale alla Stable Gallery di New York, utilizza ima fototessera, in cui appare in smoking e farfallino, per il manifesto con cui annuncia l'evento. Quello che interessa all'artista americano è la serialità dello scatto dentro la cabina automatica, il fatto che in questo modo l'arte non sembra più impheare l'intervento dell'autore. Warhol prova attrazione per quella che i critici hanno definito (da distruzione degli ultimi residui di visione artistica prodotta dalla fotografia automatica». In realtà, le cose non stanno proprio così. Non solo Warhol interviene con forza nel produrre l'oggetto artistico, ma la fototessera contiene qualcosa di opposto: l'identificazione. Non bisogna infatti dimenticare che le cabine Photomatic, introdotte nel 1926 per la prima volta in America, servono a produrre in modo meccanico immagini per passaporti, carte d'identità, tessere, cioè tutti quei documenti che certificano l'identità delle singole persone. È su questo paradosso die agisce la storia dell'uso della photomatic scritta da una giovane studiosa dell' Università di Bologna, Federica Muzzarelh, Formato tessera. Storia, arte e idee in photomatic (Bruno Mondadori). La prima cabina automatica per fotografie è installata nel 1926 a New York da Anatol Marco Josepho, un socialista nato in Siberia che Iha fatta brevettare nel 1924; ma già nel giugno del 1928 Willy Michel, un impiegato della società Continentale de photographie, piazza cinque cabine a Parigi: Galeries Lafayette, Sam's, Petit-Joumal, Luna Park, Jardin d'Acclimatation. Tutti luoghi particolari della città: magazzini, spazi divertiménti, passages. All'inizio c'è bisogno di accompagnare le macchine automatiche con un operatore, poi, via via, i clienti cominciano a fare da soli. Lo slogan con cui il socialista Siberia- no realizza il suo progetto è efficace: «Photograph Yourself! Eight poses in eight minutes». Il tempo necessario a stampare, asciugare e taghare le foto è esattamente questo. Ma la photomatic, macchina democratica per fototessere, ha degh antecedenti. La sua antenata, scrive Federica Muzzarelh, è un apparecchio inventato nel 1907 dal cavaliere Umberto Ellero, commissario di polizia scientifica e direttore dei servizi di segnalazione fotografica. Si tratta di due macchine poste in sincrono che possono immortalare la persona fotografata - di solito un criminale - di fronte e di profilo, assicurando, scrive l'autrice, che la foto segnaletica siala più attendibile e identificante possibile. Le gemelle Ellero, come vennero battez¬ zate le due macchine fotografiche automatiche, appaiono come un'anticipazione delle cabine per fototessera, collocate oggi in quei luoghi di passaggio che Marc Auge ha definito nonluoghi: stazioni ferroviarie, aeroporti, metropolitane, grandi magazzini, centri commerciah; tutti spazi dove si realizza il massimo di spersonalizzazione - siamo tutti anonimi -, e contemporaneamente il massimo di identificazione - è necessario avere dei documenti per essere identificati, qualora fosse necessario, dalle autorità pubbliche. Prima ancora delle gemelle Ellero, c'è un altro antecedente importante nella storia delle fototessere, quello di André Adolphe-Eugène Disdéri, il fotografo parigino che nel 1854, agli albori della fotografia, brevetta un meccanismo per realizzare la carte-de-visite. Si tratta di piccoli ritratti (circa 5,7x9 cm) ottenuti con un apparecchio a quattro obiettivi in grado di scattare immagini a 4 o 8 copie, stampate sulla medesima lastra. Trasportate su un cartoncino rigido, assumono il formato del bighetto da visita. Il successo di questa invenzione consente a tutti di avere ritratti facilmente trasportabili, ma autorizza anche a realizzare documenti con fotografie di identificazione. Secondo Michel Frizot, curatore di un'ampia storia della fotografia {Nouvelle histoire de la photographie, Bordas 1994), con la carte-de-visite la fotografia esce dalla cornice appesa al muro ed entra negli album di famiglia. Certo è che Disdéri diventa subito ricchissimo e la fotografia è alla portata di tutti, o quasi. La fine della carte-de-visite è determinata da George Eastman, che nel 1888 mette in produzione la prima macchina istantanea Kodak: «Voi premete il bottone, noi facciamo il resto», è lo slogan con cui la fotografia comincia a fare a meno dei fotografi professionisti e diventa un'attività con cui è possibile a chiunque registrare la propria vita quotidiana. Federica Muzzarel- li mostra, utilizzando gli studi pionieristici di Ando Gilardi (in particolare Wanted!, edito da Mazzetta nel 1978), come la storia delle fototessere è parallela alla storia dei sistemi di identificazione usati dalla polizia criminale, da un lato, e dall'antropologia ed etnologia dall'altro. Intorno a questo doppio polo, si inserisce l'uso personale dell'autoscatto o della camera automatica, come dimostrano le fototessere di artisti e scrittori particolarmenti sensibili alla manipolazione dell'immagine. Così nel 1928, poco dopo che le cabine sono installate a Parigi, Raymond Queneau produce delle variazioni della propria immagine: sono i precedenti visivi dei futuri Esercizi di stile. Oppure René Magritte si esercita nelle cabine delle fototessere in pose paradossali, ridicole, caricaturali, che hanno un legame con la sua opera pittorica. Davanti alla macchina fotografica, all'obiettivo multiplo che produce carte-de-visite, scrive l'autrice, ci si traveste, si producono identità differenti dalla propria, fino al gesto provocatorio e all'esibizione oscena, rovesciando così il potenziale identificatorio. «Sfido ogni polizia a identificarmi e ad arrestarmi sulla base della foto che ho sulla patente» ha scritto Umberto Eco. «Chiunque in una foto segnaletica ha la faccia da delinquente perché è stato messo in scena come tale». Nel 1972 il fotografo modenese Franco Vaccari, invitato alla Biennale, installa in una stanza una cabina automatica fornita dalla Dedem Automatica, la ditta che le produce, fondata nel 1961 da un fotoreporter di origine romena, Dan David. Sul muro, in quattro lingue, un invito rivolto ai visitatori: «Lascia su queste pareti una traccia fotografica del tuo passaggio». Su una lunga parete vengono esposte le fototessere. Alla fine sono diverse migliaia e comprendono anche ritratti di artisti come Kounellis, Christo, Boltanski, Patella. La cabina dell'artista modenese, scrive Federica Muzzarelh, esalta la dimensione estetica dell'arte del Novecento. Dopo Vaccari la macchina per fototessere è stata utilizzata in diversi film; la serie è aperta da Mosculin féminin di Jean-Luc Godard, del 1966, dove funziona da piccola alcova per esibizioni e performance sessuali, seguita da Wim Wenders in Alice nelle città ( 1973) e da Superman III di Richard Lester (1983), fino ad arrivare a U favoloso mondo di Amelie di Jean-Pierre Jeunet del 2001, che ne celebra l'apoteosi. La ricerca della propria identità, il collezionismo, la fototessera come identificazione, le cabine come nonluoghi, la ricerca dell'Altro e dello sconosciuto, l'osceno, diventano i temi di un film in cui Ihappy end finale chiude di colpo i tanti problemi che l'uso della cabina delle fototessere pone invece in modo così eclatante, ma anche così sottile. Fu Warhol il primo artista a utilizzarla nei suoi lavori: lo interessava la serialità dello scatto, che pareva non implicare più l'intervento dell'autore Da Godard a Wenders a «Superman III», l'avventura sul grande schermo. «Il favoloso mondo di Amelie» ne celebra l'apoteosi H Qui a fianco il ritratto di Mao in un multiplo | di Andy Warhol. I Sotto un'immagine 3 del film di Jean-Pierre :m Jeunet II favoloso mondo di Amelie, una storia in cui l'happy end finale chiude di colpo i tanti problemi posti dall'uso della cabina M per fototessere .(nell'immagine in basso) 1 La macchinetta | esordì a New York g - nel 1926, installata ( da un socialista di origine siberiana,. ; ma gli antecedenti I risalgono alla metà i deil'800. * Già nel'28, a Parigi, 1 Queneau 1 se ne servi per I produrre variazioni della propria immagine, : imitato da Magritte : i che si esercitò I in pose paradossali, I | ridicole, caricaturali | i Davanti all'obiettivo ' I multiplo . 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Luoghi citati: America, Anatol, New York, Parigi, Siberia