Il Parasìo ricorda la pìccola Hagere

Il Parasìo ricorda la pìccola Hagere TRE ANNI FA LA BIMBA TUNISINA ERA STATA SEVIZIATA E UCCISA A IMPERIA, PER IL DELITTO E' INCARCERE UN GIOVANE RUMENO Il Parasìo ricorda la pìccola Hagere E il padre lancia un nuovo appello Stefano Delfino IMPERIA Era proprio bella e gioiosa: la chiamavano «la principessa del Parasio», quando giocava con gli altri bambini del quartiere, lassù in quella piazzetta dove si affacciava la sua casa. Aveva tre anni e mezzo, la piccola Hagere, quando ha incontrato il lupo cattivo, l'orco delle favole che l'ha rapita e uccisa. Sono passati tre anni da quel triste, drammatico giorno (la scomparsa, le febbrih ricerche, il ritrovamento del suo minuscolo corpo seviziato), ma a Imperia è ancora vivo il ricordo della bimba tunisina: e così, su iniziativa del Circolo Parasio, questo pomeriggio alle 17, nell'Oratorio di San Pietro, sarà celebrata una Messa «per non dimenticare». Un delitto orrendo, brutale. Per quel crimine infame, sul quale pesano ancora molti interrogativi insoluti, al termine di una rocambolesca fuga attraverso la Francia prima e la Romania poi e quaranta giorni di latitanza, inseguito da un mandato di cattura intemazionale, era stato arrestato (per caso mentre cercava di andare in Ungheria) un giovane balordo, un clandestino rumeno, Vasile Donciu, ora in carcere a Bacau. All'epoca viveva qui, al Parasio, convivente di un infermiere di Imperia, Agostino «Tino» Greco, scomparso dalla circolazione dopo che nel suo alloggio, a pochi metri dall'abitazione ai Hagere, aveva scoperto alla sera il cadavere della bambina, straziato dalle coltellate. Alla mesta cerimonia di oggi, però, non sarà presente Abdelfattah Kilani, il manovale (perfettamente integrato nella comunità imperiese) padre della bimba assassinata. E' rimasto in Tunisia accanto alla moghe Lalla, ai figh Self Dine, Kais, Sofìane e al loro fratellino Zied, nato qualche mese fa. Spiega Abdelfattah al telefono: «Questo è un momento molto doloroso per la nostra famigha, una ferita mai rimarginata che riprende a sanguinare. Ho voluto restare accanto a mia moghe e ai miei bambini. Senza Hagere la loro vita si è trasformata in un incubo: la notte non dormono e Lalla continua a pregare tutto il giorno sulla tomba della "Principessa del Parasio"». E' passato del tempo, ma la famigha vivere sempre nell'angoscia. Kilani, convinto che Donciu non abbia potuto agire da solo, ma abbia goduto di coperture, lancia un nuovo, accorato appello ai giudici: «Non conosciamo ancora tutta la verità. La Procura della Repubblica di Imperia ha lavorato moltissimo per ricostruire questa orribile storia: ma chi ha armato Donciu, quali sono stati i motivi che lo hanno spinto alla barbarie, chi sono i suoi complici? Anche a nome di mia moghe chiedo di sapere a che punto è l'inchiesta. Se il fascicolo è ancora aperto o è già stato chiuso, se ci sono aspetti tenuti nascosti per ragioni investigative, se ci sono altri indagati e se è vero che Donciu potrebbe essere processato ima seconda volta anche in Itaha». Nei mesi scorsi, aveva inviato una lettera all'omicida. Ripete adesso Kilani: «Sono disposto a perdonarlo, perchè non sa quello che ha fatto, ma a una condizione: deve dirmi tutta la verità. L'odio non serve a niente, solo Dio renderà giustizia a chi continua a soffrire e noi lo preghiamo ogni giorno. Perdonare un uomo che ha ucciso un'altra persona, per di più una figlia - mia figlia -, non è facile. Forse solo perdonando chi ha rapito e ucciso Hagere riusciremo a liberarci da un peso ancora troppo grande: un peso dal quale potrebbe liberarsi lo stesso Donciu. E la giustizia potrebbe aiutarlo, se soltanto confessasse una volta per tutte la verità. Coscienza, umiltà e ragione, insieme, possono fare grandi cose». Hagere Kilani aveva tre anni e mezzo Papà Abdelfattah con la bicicletta della figlia, ritrovata nella casa del delitto

Luoghi citati: Francia, Imperia, Romania, Tunisia, Ungheria