Gheddafi torna nel mondo guardando all'Europa di Igor Man

Gheddafi torna nel mondo guardando all'Europa UN'OCCASIONE CHE LA PRESIDENZA ITALIANA DOVREBBE VALUTARE ATTENTAMENTE Gheddafyi torna nel mondo guardando all'Europa La scelta rinviata per sette dolorosi anni analisi Igor Man IL «caso Lockerbie» è chiuso. Tripoli ha ammesso la sua colpa. Come mai e perché dopo aver protestato con l'universo-mondo per le «vili accuse infamanti», e questo durante lunghissimi anni, la Jamahiria libica, cioè la Libia, vale a dire il Colonnello Gheddafi si assume oggi la (pesante) responsabilità di dichiararsi «colpevole»? La risposta immediata è la più semphce, persino facile: dopo quindici anni di polemiche roventi, di scambio di accuse, di accorate ma vibranti proteste di innocenza Gheddafi ha capito che per sottrarsi alle (dure) sanzioni imposte alla Libia dalla comunità intemazionale undici anni fa, bisognava passar attraverso la cruna stretta, e mortificante, deh'ammissione di colpa. Della strage di Lockerbie, avvenuta il 21 di dicembre del 1988, quando un Boeing 747 della Pan Am esplose in volo sulla rotta Londra-New York, seminando di rottami e di corpi straziati quella cittadina scozzese (morte 259 persone a bordo ella terra), di quel terribile attentato vergognoso si fa carico la Jamahiria libica. «Farsi carico» significa che la Libia si impegna a risarcire le famighe delle vittime (la spesa: intorno ai 2,7 miliardi di dollari), rinuncia al terrorismo e garantisce la «massima collaborazione» in eventuah future inchieste volte ad appurare «dettagli significativi» della strage. E' già stato firmato un primo accordo coni legali delle famighe. Il segretario generale dell'Onu, Kofi Annan ha (secondo prassi) avviato la procedura per abolire le sanzioni deUe Nazioni Unite. La Gran Bretagna ha già fatto sapere che ne chiederà la revoca mentre gh Stati Uniti sembrano orientati verso il mantenimento delle sanzioni imposte dalla Casa Bianca, astenendosi tuttavia dal porre il «veto». Che, invece, minaccia di porre la Francia sempreché il governo libico non si decida ad ammettere, altresì, la sua responsabilità nell'attentato che il 19 di settembre del 1989 colpì un aereo dell'Uta, causando la morte di 170 persone nel cielo del Niger. Non ho voluto trascurare alcun dettaglio su codesta sporca storia tremenda affinché il lettore possa agevolmente seguire il mio tentativo di dare una risposta «logica», cioè misurata sul nostro metro cartesiano, al gesto di Gheddafi. Vediamo. Sin dal primo momento il governo libico protestò l'innocenza dei due presunti colpevoh della strage: Abdel Basset al-Megrahi, Al Amin Khalifa Fahima, entrambi dei Servizi libici. E Gheddafi, lui, Al Qaid (la Guida)? li definì subito «jene puzzolenti». Ma questo lo sanno pochissime persone e il Colonnello, pubblicamente, non ha mai espresso giudizi su di loro. Tuttavia pretese garanzie giuridiche per i due presunti colpevoh. Ma la sua intransigenza veni) e scambiata per tracotanza. E arrivò l'embai^o. Duro, penalizzante soprattutto sul piano psicologico. Ma Gheddafi non poteva fare altrimenti non fosse altro perché il suo (rissoso) paese si regge su di un delicatissimo equilibrio clanico e uno dei due presunti attentatori appartiene a una tribù che conta. Le garanzie vennero accordate e infine Gheddafi consegnò i due sospettati alla Corte scozzese che, però, «deluse» il Colonnello con una sentenza giudicata ambigua se non bizzarra: venne ritenuto colpevole solo uno dei due «agenti segreti». Al Megrahi. Era il 31 di gennaio del 2001, i due erano stati estradati nel 1999. La condanna all'ergastolo di Al Megrahi venne successivamente confermata in Appello. Va qui detto, ora, come Gheddafi sospettando sulle prime che i due (presunti) terroristi fossero colpevoli h mise ai domiciliari non stancandosi di interrogarli duramente (alla beduina, per intenderci), con implacabile frequenza. Alla fine sembra si fosse convinto dell'innocenza di entrambi: erano sì nei Servizi ma in sott'ordine. E, poi, uno di loro, giustappunto, quello condannato, apparteneva alla tribù dei Megrahi, la stessa del maggiore Jallud, amico fraterno del Colonnello. Non basta: c'è da mettere sul piatto che quella sorta di anarchia afiicomaoista ch'è la Jamahiria libica si regge, lo abbiamo già detto, su di un equilibrio tribale. Per non turbare codesto equilibrio, per non screditarsi, e per il rispetto dovuto alla tribù di un uomo che «verosimilmente» era innocente, Gheddafi subì e fece subire al suo popolo, al paese intero, sette. cupi anni di embargo. Un embargo serio, non come quello pieno di salvifici buchi imposto all'Iraq. Ma come mai, allora, se riteneva innocenti i due alla fine si decise a consegnarli al tribunale scozzese operante in Glanda? Per lo stesso motivo per il quale non lo fece prima: perché h riteneva entrambi innocenti. Gheddafi era certo che quel tribunale «non asservito a nessuno» h avrebbe prosciolti. Altra domanda: perché Gheddafi ha atteso tanto prima di cedere, assumendosi di fronte al mondo una fosca responsabilità? Per tentare ima risposta bisognerà ricordare come il Beduino dalle sette vite e dalle 700 uniformi, abbia da tempo voltato le spalle al Medio Oriente, decidendo che è in Africa e nell'Africa che «si compie il destino storico della Jamahiria libica». Ma ancorché facendo forza a se stesso, 0 Colonnello è stato sfrattato dalla visione onirica ch'egh aveva (sino a ieri) dell'Africa, ansiosa di riconoscere in lui, nano politico, un gigante economico, l'Uomo del Destino. Ma anche l'Africa deve essersi rivelata una chimera, nel senso ch'è troppo grande e ingrandita, dilatata mostruosamente dai suoi «problemi» (fame, paludismo. Aids, guerre) perché si possa pensare cu «gestirla» come Gheddafi sognava di fare. Ed ecco e qui, forse, risiede il «perché» del gesto invero storico, nella sua terribilità, compiuto da Gheddafi accettando tutta la responsabilità delTimmondo attentato di Lockerbie, ed ecco rispuntare ah'orizzonte politico della Libia l'Europa. La vecchia Europa già colonialista, dove l'Italia, vittima prima della Rivoluzione Verde, occupa un posto rilevante. L'ammissione di colpevolezza di Gheddafi coincide con la nostra presidenza europea. Chi conosce (abbastanza) bene il Colonnello (consigliato da un ministro degh Esteri, Shalgham, già ambasciatore a Roma) non nega ch'egh possa aver tutto calcolato affinché tutto accadesse ora, oggi che l'Europa va facendosi sempre più sohda, certamente avviata a dispetto di occasionah intoppi diremo fisiologici, ad essere la Terza iperpotenza mondiale, fra l'Est e l'Ovest; tra quel che resta dell'ex Impero sovietico e la Supennonopotenza, gh Stati Uniti d'America, alle prese con la «crociata» contro il Terrore islamista. Ora è vero che gh Stati Uniti dopo il gesto di Gheddafi han rinnovato la presa di distanza dal Colonnello partorita dal bombardamento di Tripoh ordinato da Reagan, ma va detto come in tutti questi anni di embai-go, gh unici stranieri liberi di andare e venire in Libia senza visto, sono stati e sono gli americani. La pohtica è una cosa, il business un' altra. Al (grande) giornalista inglese Patrick Seale che gh chiese, un giorno, se si fosse fatto un'idea del perché i leaders del mondo occidentale (tranne eccezioni) e parecchi se non tutti i suoi «fratelli arabi» lo odiassero, Gheddafi rispose: «E' perché non mi conoscono». Dopo aver cavalcato ostinatamente il somaro del diavolo, come dicono dalla sue parti di chi sta camminando sull'orlo d'un abisso, Gheddafi ha finalmente deciso di andare a piedi, uscendo da una grottesca e animosa dimensione esistenziale che ne faceva un «Vantane al couscous», e per molti versi una mina vagante. Prendiamone atto: in primis il nostro governo. Il colonnello Gheddafi durante una visita in Mozambico nel luglio scorso