La riscoperta di Leo Putz maestro di languori da salotto
La riscoperta di Leo Putz maestro di languori da salotto CATALOGHI II La riscoperta di Leo Putz maestro di languori da salotto Marco Vallerà BEN vengano mostre come questa appena conclusa che sarchiano terreni ricchissimi e colmano lacune abbastanza comprensibili, ma comunque ingiustificate. Che Leo Putz (1869-1940) sia sconosciuto ai più, e soprattutto in Italia, nonostante di nascita egh fosse meranese, è una delle tante negligenze, inutili e stolide, di una storiografia superficiale e frettolosa. Che si trastulla sulle vette apparenti degli iceberg e trascura altre curiosità e viottoli meno prevedibili. Ma non meno intriganti. Certo Leo Putz non è un'artista d'avanguardia, ma oggi per fortuna il concetto di modernità si è allargato e così si possono raccogliere qui e là, senza vergogna, un po' di cocci preziosi, per ricostruire il giocattolo fracassato della storia dell'arte. Badando ai preziosi tessuti connettivi e non soltanto ai tenorili do di petto, che ormai sono venuti ad usura. Piuttosto che rivedere le solite, malcongegnate mostre di Modigliani-Chagall-Kandinskij non sarà megho scoprire qualcosa di nuovo? Merito a Gabriella Belli, che pur portando avanti il discorso della contemporaneità al Mart di Rovereto, non dimentica questi maestri minori, così importanti per capire il decorso della tormentata modernità. Putz non è una vera sorpresa, per chi si occupa della «gaia apocalisse» della Cacania viennese. Qui e là sono trapelati, per esempio a Bressasone, opere del suo periodo brasiliano e sempre qui a Trento egh era già comparso, accanto ai suoi maestri ideali, Klinger e Von Stuck, nella panoramica Dall'Impressionismo allo Jugendstil. Maestro dei languori di salotto, è in fondo uno dei rappresentanti più espliciti di questo momento Art Nouveau, con le sue dame sfatte nei riflessi di specchio ed i corpi sagomati, che spesso lo hanno fatto paragonare, un po' impropriamente, a Schiele e Klimt. In realtà lui è molto più vicino a quella scuola monacense da cui proviene (come del resto De Chirico, Liebermann e molti altri innovatori artisti del momento). Un movimento nazionalistico, che ben conosce le novità della Scuola di Barbison e quella dell'Aja, cui si abbevera anche Van Gogh, ma che pretende una sua autonomia. Che rende liquido e «tasselloso» il pennello, in una corsa frenata, fatta di tacche cloissonées e di slalom sinuosi, di spatolate trattenute di luci e riverberi, e di colori chiazzati, che simulano il filtrare discontinuo dei lucori da riserva boschiva. Più vicino a ritrattisti sapienti, come Leibl od intimisti come Kuehl, che ai simbolisti quali Klinger, disegnatore elegantissimo (basterebbe quel disegno thomasmanniano del compagno di sanatorio) Putz ebbe anche una grande frequentazione della fotografia. Una «tensione» al moderno che lo rende fratello ai nostri Michetti e Mancini. Il catalogo riccamente illustrato (44 riproduzioni a colori e 72 in bianco e nero) e con contributi di vari storici dell'arte tedeschi, pubblicato da Tappainer Verlag, Lana (BZ), permette di mantenere la memoria della mostra. Un'opera riccamente illustrata rende omaggio a un maestro «minore» della modernità «La dama in blu» (particolare) di Leo Putz LeoPutz La pittura a Monaco nell'età dei Prìncipi Editore TappainerVerlag, Lana (Bz) 152pag.s.i.p.
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