La stona bagnata dalla NEVA

La stona bagnata dalla NEVA La stona bagnata dalla NEVA SAN Pietroburgo, Pietrogrado, Leningrado: tre nomi per una città maltrattata dalla storia, che ha scritto e riscritto più volte il proprio palinsesto in una congiura di amnesie programmate. Alcuni vecchi pescatori che prima della fondazione di Pietroburgo vivevano nei luoghi dove in seguito sorse la città raccontano in una Storia antica di Pietroburgo della metà dell'Ottocento, "che trent'anni prima, nell 721, ci fu un'inondazione tale da sommergere tutto il paese e che simili calamità si ripetevano ogni cinque anni. Per questo motivo i primi abitanti che si insediarono lungo le rive della Neva non vi edificarono mai costruzioni sohde, ma soltanto piccole capanne di pescatori. Non appena si annunciava una forte tempesta, i contadini smantellavano le loro baracche, ammucchiavano le travi e le assi, così come le zattere, e le assicuravano agh alberi; essi stessi poi, aspettando che le acque scendessero, si rifugiavano sul monte Duderovo". Nonostante quelle antiche premesse poco rassicuranti, Pietroburgo, fondata nel 1703 da Pietro il Grande sulla costa orientale del Golfo di Finlandia in mezzo al fango delle paludi, quest'estate, nella luce perlacea delle sue nordiche notti bianche, celebra il tricentenario della fondazione. La Russia è un paese molto attaccato alla madre-terra e l'idea di costruire ^ una città al limite della terraferma e di proclamarla, per ::^0" di più, capitale .■;--5# dell'impero rus- '^ so, già dai con- ' temporanei del suo fondatore fu ^ considerata poco ^ felice: Mosca era * sorta dalla terra russa ed era circondata di terra russa, non da "un cimitero paludoso con le tombe dei suoi costruttori al posto dei rilievi". Mosca era sorta, appunto, Pietroburgo, invece, veniva coltivata, tirata fuori a forza dalla terra, o forse soltanto "inventata". Josif Brodskij, il grande poeta pietroburgbese che ha sempre cercato e cantato l'acqua della città madre anche nell'esibo, sia nella baia di Manhattan che nella laguna di Venezia, in un suggestivo saggio dedicato a Pietroburgo, Guida a una città che ha cambiato nome, descrive l'apprensione con cui gli abitanti accolgono ogni anno, specialmente sul finire dell'autunno, il riaffermarsi della forze della natura, gh straripamenti della Neva che salta fuori dalla sua camicia di forza di granito, le nubi plumbee che giungono dal mare, le piogge torrenziali che travolgono le cento isole collegate da canali e affluenti, senza neppure una diga di protezione intomo alla città. L'acqua è sempre stata l'elemento naturale di Pietroburgo, città "fradicia e scivolosa" (come la definì Dostoevskij) che un giorno potrebbe anche svanire nelle nebbie che spesso la avvolgono come fumo, lasciando dietro di sé l'antica palude finnica. L'acqua a Pietroburgo è onnipresente: dall'acqua grigia e spumosa della Neva, che scorre per venti chilometri e si biforca proprio nel centro della città, all'acqua bluabisso del mar Baltico che le sta davanti, fino all'acqua nera dei suoi canab. Acque dolci, salate, melmose, che la rendono "la più astratta e premeditata" città di tutto il globo terrestre. E' sempre Brodskij, in uno scritto autobiografico intitolato Meno di uno, ad affermare che da quelle acque cariche di riflessi si possono imparare più cose sull'infinito e sullo stoicismo che dalla matematica e da Zenone. La letteratura russa è nata qui, sulle rive della Neva, si specchia nelle sue acque, corre attraverso i suoi seicento ponti che, con uno spettacolo mollo suggestivo, ogni giorno restano chiusi, sollevati, dall'una e trenta alle cinque del mattino. Già in Puskin, nel poema Il cavabere di bronzo, la tragica storia del povero Eugenio si svolge sullo sfondo di una violenta inondazione che sconvolge l'apparente solidità simmetrica della città e sorta via la sua unica speranza, 'amata Parasa, nei gorghi fluttuanti della Neva. Lo spettro di Akakij Akakevic, il misero impiegato de U cappotto di Gogol', scegbe U nebbioso e sdrucciolevole ponte Kalinkin per andare in cerca del cappotto rubatogb e "strappare da tutte le spalle, senza baciare a grado o titolo, ogni sorta di soprabiti". Ed è forse sullo stesso ponte che settantacinque anni più tardi, nel 1917, verrà a trovarsi L'uomo dell'omonimo poema di Majakovskij, anch' egb una sorta di fantasma che ritoma a Pietroburgo dal cielo, sventrando le carcasse delle nuvole e portando la luce sanguinosa del tramonto di un'epoca: Un ponte incantevole. Vi salgo. E con una tremenda agitazione mi sporgo a guardare. Stava qui,mi rammento. C'era questo luccichio. E questo a quel tempo si chiamava Neva. Molti personaggi di Dostoevskij si aggirano smarriti in questo labirinto di ponti e canab, certamente favorevole al distacco del pensiero dalla realtà che spesso b caratterizza. L'anonimo protagonista de Le notti bianche, il timido sognatore, nel vasto spazio della città quasi deserta, vede per la prima volta la giovane Nasten'ka davanti al parapetto di un canale, intenta a fissare l'acqua torbida, ulteriormente intorbidata dal giallo delle facciate riflesse. E' il "colore dell'impero", il giallo dell'architettura neoclassica introdotta a Pietroburgo dagh architetti itabani Rossi e Rastrelli, usato talvolta con una connotazione nejativa nelle descrizioni della città, 'altro elemento con una lunga tradizione letteraria, a cominciare proprio da Dostoevskij. Nel XX secolo è diventato ancora di più un colore che evoca immagini sinistre, soprattutto nelle opere dei Simbolisti: nel visionario romanzo Pietroburgo di Andrej Belyj la città è come un grovigbo perennemente avvolto da sudice nebbie fosforiche e acque gialle. Anche nella poesia di Osip Mandel'stam il colore giallo ritoma di frequente nella descrizione dell'ambiente famibare ebreo e di Pietroburgo (due cose per lui indissociabili): nei versi di Leningrado, del 1930, questo colore si inspessisce fino al punto di trasformare le acque del fiume in obo di pesce e il paesaggio urbano del breve giomo di dicembre in tuorlo d'uovo. Ho conosciuto anni fa questa città quando anche il giallo dei palazzi hnperiab appariva stinto, come in una Venezia senza lustro. Oggi la beUezza ampollosa e quasi latina del centro contrasta con l'immensa e incolore periferia in stile sovietico; in occasione delle celebrazioni ufficiali, delle cerimonie pompose per il tricentenario, le facciate del centro sono state verniciate a smalto in rosa salmone, verde pistacchio, blu intenso, malva. Questi palazzi, simib a grandi torte, al loro interno, a dispetto degb agenti immobibari che sogna- no di metterci sopra le mani per ristrutturarli e rivenderb a prezzo d'oro ai nuovi ricchi, racchiudono ancora cadenti appartamenti in coabitazione, abitati spesso da persone molto anziane, abituate a questa vita collettiva e terrorizzate ab'idea di trovarsi a vivere sob in un piccolo appartamento di periferia. Le scale buie, gli androni, gb interni con le vecchie tappezzerie rigonfie e sbiadite, sembrano quelb descritti da Dostoevskij. I campanelb sono ancora simib a quello che Raskol'nikov, il protago¬ nista di Debtto e castigo, suona con insistenza alla porta della vecchia usuraia che medita di uccidere, o a queUo che balugina nei versi della poesia di Mandel' stam Leningrado, simbolo del terrore staliniano nella sua implacabile crudezza: è un campanello che non suona più, strappato forse dal poeta in partenza alla ricerca dei morti, o dai poliziotti cui il poeta, tappato nel proprio appartamento, non risponde. Il tempo si misura anche in base ai cambiamenti avvenuti. Oggi la "belva" è ammansita, come se la città fosse passata all'Ovest; la nuova generazione di sognatori ha il disincanto dei personaggi psichedebei, storditi dal rock e dalla polvere bianca, de I ragazzi di san Pietroburgo di Sergej Bol'mat o la malinconia sensuale dell'adulto che rivive la propria infanzia attraverso l'agonia della nonna, il semisonno della coscienza di Ganik, protagonista dell'emozionante romanzo I funerali del grillo (non ancora tradotto in Itaba) del pietroburgbese Nikolaj Kononov. La città non è più uno scenario utopico, ma una città unica, vista dal suo interno. Sulla piazza degb zar, in pieno centro, davanti al museo dell'Ermitage, ex-palazzo d'inverno dei Romanov, le bandiere msse si vendono in grande- quantità e i turisti venuti da tutto il mondo amano farsi fotografare mentre sventolano questo emblema nazionale. Ma è sufficiente girare l'angolo, allontanarsi un po', per ritrovare la città più autentica, più austera, ma piena di fascino, la "diafana PetropoU" dei versi di Mandel'stam. L'acqua "resta sempre e ovunque fedele a se stessa", scrive Brodskij, "insensibile a ogni metamorfosi, bscia, distesa, là dove non è più terra ferma". Così l'acqua diventa idealmente il tempo, e U tempo acqua: Tutto il pathos deUa vita, l'inizio, il mezzo, il calendario che si sfogba, la fine... tutto svanisce in spume bevi, eteme, senza tinte. FONDATA NEL 1703 DA PIETRO IL GRANDE IN MEZZO AL FANGO DELLE PALUDI, QUEST'ESTATE, NELLA LUCE PERLACEA DI NORDICHE NOTTI BIANCHE, CELEBRA IL SUO TRICENTENARIO I LIBRI 0 Salomon Volkov, San Pietroburgo. Storia di una capitale culturale, Mondadori, 1998. 0 Ettore Lo Gatto, Il mito di San Pietroburgo, Feltrinelli, 1960 O Nikolaj Gogol', I racconti di Pietroburgo, trad. di Tommaso Landolfi, Einaudi, 1995. 0 Fèdor Dostoevskij, Le notti bianche, a cura di Angelo M. Ripellino, Einaudi, 1957). O Andrej Belyj, Pietroburgo, a cura di Angelo M. Ripellino, Einaudi, 1962. O losif Brodskij, Fuga da Bisanzio, traduzione di Gilberto Forti, Adelphi, 1987. e, celebra il tricenndazione. La aese molto dre-terstruire ^ del di er ::^0" le .■;--5# - '^ - ' u ^ o ^ a * ra onssa, mitero e tombe ori al posto sca era sorta, i