I tredici bersagli del dottor Geoffroy in fuga da se stesso

I tredici bersagli del dottor Geoffroy in fuga da se stesso DUE GIORNI INDECIFRABILI E UN TERRIBILE SOSPETTO I tredici bersagli del dottor Geoffroy in fuga da se stesso Con un fucile da sub una lista di nomi aperta dalla sua vittima Medici, giudici, carabinieri che considerava causa della sua rovina Brunella Giovara MILANO Addormentato nella sua culla, sognava di guarire e anche di ripartire, per una vita nuova o per il mare, che in fondo è così vicino a Milano. E qui giocare con la sabbia, diventare sempre più bravo a centrare il bersagho, un colpo dopo l'altro via tutti i nemici, giù come birilli, far strage di uomini cattivi e lui, Arturo Geoffroy, dottore in psichiatria, unico eroe, infine vittorioso, finalmente in pace. «Numero uno fucile da sub con fiocina armata... ; numero uno bersagho per tiro con l'arco...», e giù a scendere, nell'inventario di una vita ormai disgraziata come ormai ce l'hanno solo gli albanesi e i tunisini più poveri, con molte mutande sporche e i miseri, molto miseri resti di una ex carriera di professionista brihante, laureato a pieni voti, appassionato e preciso. Poi - peccato - caduto con disonore, ed è stata tutta colpa di una malattia che un giorno «sì, ce l'ho», e un giorno «no, io sono sano». Anni, giornate e notti passate così, le ultime due sdraiato nella sua macchina culla, la Passat assai sporca e scassata, lì a fumare la pipa e rivedere il catalogo del passato e presente, futuro poco e incerto, confuso, forse uccidere ancora, forse andare a Pescara. Ripassare le carte che provano «il mio aver ragione», urlare l'ingiustizia patita in un parcheggio deserto, illuminato da una scritta rossa - Esselunga -, e intorno non c'è nessuno che possa sentire. E lì cercare di controllarsi (con una bella pallina antistress, blu), e far bastare i soldi (pochi euro, nel suo zainetto), comprarsi acqua e pane, nient'altro, e un caffé ogni tanto, come l'ultimo preso ai bagni Lido, a Camogh. «Volevo solo andare al mare» e poi proseguire per Pescara (la mamma, cattiva e «collusa con tutti i nemici», ma sempre la mamma), e poi scendere verso Salerno (il paese del papà, morto da anni), e poi forse tornare su al Nord, armato di fiocina e di una lista di 13 nomi e cognomi da eliminare, e in testa c'è Lorenzo Bignamini, uno che curava i pazienti schizofrenici con il «gioco della sabbia» di Dora Kalff e scriveva che quello era «il gioco del Dio vivente», «si attiva un percorso attraverso la manipolazione della sabbia e la possibilità di rappresentare simbohcamente il proprio mondo intemo». Ucciso lui, restavano dodici altri bersagli, nel mondo intemo così speciale e cattivo di questo Arturo Geoffroy: il «criminale» )rimario di psichiatria al San Paoo, Gianfranco Pittini, più altri due specialisti colpevoli di averlo fatto internare a forza, e via con tutti gli altri, i magistrati «criminali» Borrelli, D'Ambrosio e Cordova, e gli ufficiali dei carabinieri, «criminali» comandanti provinciaU e di compagnie che se lo trovavano davanti - a Pescara, a Chieti, a Milano - con la valigetta nera Samsonite piena di docmnenti: «Voglio parlare con l'ufficiale responsabile, voglio un appuntamento con il comandante regionale», finiva che lo accompagnavano alla porta e lui smaniava, bussava al corpo di guardia, «ascoltatemi, devo presentare querela contro il presidente della Repubblica!». Pasquale Muggeo, che è comandante provinciale a Milano e non è nella lista, spiega che rintraccia- re uno così è un compito difficile. «Sfugge ad ogni logica investigativa, sfugge ad ogni razionalità». E' imprevedibile, pericoloso, costruisce percorsi casuali o dettati da logiche incomprensibili, almeno in apparenza. L'han cercato dov'era logico che fosse (a Pescara, dove infatti stava per andare a trovare la mamma), ma prima lui voleva fare un bagno in mare. Ha usato l'autostrada per scendere a Salerno - nei giorni prima dell'omicidio - ma poi si è messo a vaga¬ bondare per tangenziali e statali. Non c'era calcolo, non cercava di sfuggire i nemici, aveva solo praticamente finito i soldi. E così, appena nascosto nel grande esodo pre Ferragosto, caricata la Passat dei rottami della sua vita (un paio di mocassini di buona marca, blu, sfondati e sbiaditi) e del necessaire per andare al mare (il telo da bagno, due costumi). Preso su il beauty case con dentro uno spazzolino spelacchiato, e caricato il fucile da sub, e ancora: lo scatolone con un coltello sporco di sangue, sporcato venerdì 8 agosto, ore 17,45, piazza Angilberto II, quartiere Corvetto di Milano. Coltello gettato tra i sedili, subito dopo mentre scappava via verso le periferie deserte, poi raccolto e riposto assieme agli altri ricordi, un cappello cinese, una cintura militare, un paio di boxer blu a fiori bianchi, vecchi ma ancora buoni. E dalla periferia via sulla tangenziale, a correre in cerchio perfetto attorno a Milano, fermandosi a guardare il flusso dei milanesi in partenza, a migliaia, con altre macchine cariche come la sua, gommoni e bici, giocattoli e bambini, via verso il mare. Ha deciso che si poteva fare, «il mare più vicino a Milano», cioè Genova, ma lungo le statali, scendendo per le campagne e fermandosi a Voghera, anche lì un parcheggio di supermercato, illuminato dai neon ma deserto e tranquillo, e qui pensare alla lista, e poi decidere che è meglio il mare di Genova, per la lista c'è tempo. Comprare i giornali, arrabbiarsi leggendo le imprecisioni, gli sbagli vistosi, e riscontrando quanto tempo è passato dalle foto di quella vecchia intervista tv dove lui, il «dottore perseguitato» Geoffroy, appariva sicuro e preciso nella pcirola, ben vestito e ben rasato, un Bruce Willis italiano, bel tipo (che però si tormentava le mani). Quanto tempo è passato? Una notte, un giomo e un'altra notte ancora, tra piazzole sterrate, cani randagi, lontane luci blu che corrono a cercare l'assassino Geoffroy. Non c'è stata poesia in questo poco tempo, in fondo, passato nella macchina culla, magazzino dei ricordi, guardaroba stantio, briciole di pane già vecchio, ricordi. E un vecchio libro molto amato, dove ad un certo punto un paziente psichiatrico dice che «mio garage c'è un drago che sputa fuoco», e il medico «seguen¬ do un approccio di terapia di gruppo praticato dallo psicologo Richard Franklin», accompagna il paziente nel garage, dove c'è «una scala, dei barattoli vuoti, un vecchio triciclo, ma nessun drago». Gran libro, «Il mondo infestato dai demoni», e il dottor Geoffroy l'aveva quasi finito, tra il parcheggio del supermercato abbandonato dagh uomini, la notte, e la piazzola di Voghera, dove non ci sono uomini e neanche una prostituta, e la spiaggia di Camogli, dove ieri c'erano persone felici, in costume e crema abbronzante, e lì si è arenata la Passat Bianca, i rottami di una vita, ima pallina antistress, un ombrello, una valigetta da medico, un paio di guanti di lana, un cappello di pelo, come quelli delle Giovani Marmotte, tanto tempo fa. Su una spiagpia dove non si può neanche fare il «gioco della sabbia» del dottor Bergammi, perché ci sono solo ciottoli a Camogli, solo ciottoli neri. Un lungo giro sulla tangenziale di Milano e poi ha preso la direzione della Liguria scegliendo le strade statali. Qualche sosta ai parcheggi degli ipermercati leggendo di se stesso sui giornali I carabinieri: «E'stata una caccia difficile perché individui come lui prendono decisioni che sfuggono a ogni logica investigativa» Era ricercato a Pescara dove vive l'anziana madre Sull'auto aveva caricato i rottami di una vita Aveva in uno scatolone il coltello ancora sporco di sangue utilizzato per il delitto. Nel suo zainetto solo pochi soldi quanto bastava per acqua pane e un caffè Sui sedili il telo da bagno e due costumi SiAidz Arturo Geoffroy al momento dell'arresto Arturo Geoffroy viene portato via dai carabinieri di Camogli