«La nostra tragedia servirà alla scienza»

«La nostra tragedia servirà alla scienza» n. POLORE DEI FAMILIARI DELLA RAGAZZA UCCISA DAL MORBO DI MUCCA PAZZA «La nostra tragedia servirà alla scienza» la storia Brunella Giovata MILANO PROFESSORE, grazie per tutto quello che avete fatto per Maria Letizia». Grazie lo stesso, dicono la mamma e i fratelli di questa prima vittima italiana della Bse, ragazza splendida, buona e bella, ora consegnata alla scienza e agli anatomopatologi che cercano nel suo cadavere un altro frammento di conoscenza, una certezza in più, una verità. E' sempre una cosa orribile, pensare all'autopsia di una persona cara, e la mamma di Maria Letizia quando l'ha saputo ha pianto tutte le lacrime che ancora non aveva spremuto, in due anni di vita spesi accanto alla figlia malata, not- te e giorno, fino all'altro ieri. Le han detto che era morta e lei ha urlato tutta la sua disperazione, lei che sperava nel miracolo, lei che diceva «io lo so che non c'è niente da fare, ma spero sempre che possa guarire, mia figlia». Non c'è stato miracolo, nemmeno qui all'Istituto neurolo- gico sesta di Milano, méta ultima della malata che aveva girato molti ospedali e molti centri specializzati, dalla Sici- ha airinghiiterra, per sentirsi sempre rispondere che non sisapeva cosa fare, e che anzi c'erapocodafare: «Può tornare in Italia, non c'è cura per la Bse», avevano sentenziato i medici del St Mary's Hospital. «E' l'unico caso italiano di variante della sindrome diCreutzfeldt-Jakob, e ci si au- gura che rimanga anche l'ulti- mo», diceva ieri il ministrodella salute Girolamo Sirchia. Che pena, e che peso, perquesta famiglia siciliana cheha cercato in tutti i modi diattenuarle sofferenze e di ad-dolcirle la verità, come spessosi fa con i malati per i qualinon c'è cura, e che domanda-no «ma cosa ho, ma sonograve, ma quando guarirò...»,«E' una famiglia molto unita, una famiglia all'antica», la racconta il professor Orso Bu- giani, che assieme al collega neurologo Fabrizio Tagliavini ha seguito la paziente per un anno intero, come quasi mai succede negli ospedali italia- ni: un malato terminale dopo un po' deve andarsene, la famiglia deve farsene carico, l'ospedale ha dei limiti, così si dice ai parenti, di solito, Ma in questo - almeno in questo - Maria Letizia e i suoi sono stati un po' più fortuna- ti. Il «Besta» ha messo a disposizione un'equipe di medici e il personale specializzato che serve in questi casi. E se qualcuno pensa che questa disponibilità possa nascondere un interesse meramente scientifico, il professor Bugiani spiega che non è così, «l'ospedale è stato sensibile, sapevamo che la paziente non poteva essere curata a casa, e nemmeno a Menfi, dove non esiste ospedale. E poi siamo stati anche lungimiranti, perché grazie a Maria Letizia abbiamo imparato molte cose utili per patologie rare e importanti come la Bse». E se ci può essere una consolazione, per i genitori e i fratelli di Maria Letizia, la consolazione è solo questa: «La quantità di informazioni che ci sono rimaste è talmente ricca che questa morte ha un senso», dice Bugiani. Non è cinismo, naturalmente. Ma questa morte era «uri evento atteso», e i medici che un anno fa si sono visti arrivare Maria Letizia - già in coma, già classificata come «paziente non contattabile» -, hanno fatto «il massimo che si può fare per certi malati», senza considerarli solo dei casi clinici. Ma persone, con madri e padri sofferenti, fratelli e sorelle in pena continua, mogli o mariti piegati in due dal dolore. Così è stato anche per la ragazza di Menfi, un paese già in lutto prima ancora che arrivi da Milano la salma della ragazza che si era laureata a pieni voti, seduta in carrozzella ma decisa a raggiungere almeno quello, di traguardo. La famiglia sapeva la verità, appresa poco alla volta, come «facciamo noi neurologi, che curiamo malattie degenerative dove non ci sono ancora cure. Il neurologo gestisce la diagnosi, la comunica con grande cautela ed umanità, e allo stesso tempo coltiva la speranza, che è una cosa grossa della nostra vita...». Così dice il professor Bugiani, nella calura del suo ospedale, mentre aspetta che dall'altra parte della città, al Sacco, altri medici concludano l'autopsia e inizino gli esami (un mese, e anche più, per avere tutti i dati dai test biochimici e molecolari). «Io credo che la diagnosi verrà confermata, non mi aspetto sorprese», dice Bugiani. «Ma questa non è una sconfitta. Nessuno di noi ha fatto una battaglia per guarire Maria Letizia, perché nessuno poteva illudersi di poterla salvare». La famiglia ha capito, le urla di dolore sono finite in un pianto e in quel «grazie», detto dalla mamma, ripetuto da due dei fratelli che ieri a Milano aspettavano la restituzione della salma per riportarsela in Sicilia, la loro ragazza. ^ i , «Sapevamo che non e era cura, ma i.. . i abbiamo sempre sperato che n /i - i . ^ ^ ^ r x x -x Maria Letizia guarisse. E stata seguita -^^ - - x xx- con umanità, ringraziamo tutti» IL MORBO DELLA MUCCA PAZZA NELL'UOMO L'evoluzione umana dell'encefalopatia spongiforme bovina (Bse) è una variante dqlfa malattia di Creutzfeldt-Jakob © I prioni distruggono le cellule nervose della corteccia cerebrale 0 Attraverso i nervi gli agenti infettivi (prioni) raggiungono i cervello GIF agenti infettivi (i prioni) della variante umana della Bse e di altre \ malattie cerebrali i simili, sono proteine I anomale molto più i piccole di un virus i ma che agiscono jin modo analogo BSE IN ITALIA 2001 50 casi 2002. : 36 casi 2003 18 casi o Nella corteccia cerebrale si formano veri e propri buchi Totale dal Tgennaio 2001: 104 casi Probabili motivi e decorso della malattia Il contagio avviene attraverso il consumo di carne di manzo infetta. Tempo di incubazione: dai 5 ai 35 anni, fino alla manifestazione della malattia LE CARATTERISTICHE DELLA MALARIA «Depressione i Amnesia i Disturbi comportamentali «Perdita delia padronanza del proprio corpo e della memoria «Demenza Situazione in Europa della variante umana del morbo della mucca pazza In 7 anni 115 vittime " in Gran Bretagna .^ EEispI 'Istituto neurologico Besta di Milano