NUVOLARI L'avventura senza freni del pilota più amato di Stefano Semeraro

NUVOLARI L'avventura senza freni del pilota più amato UN MITO ITALIANO: L'11 AGOSTO DI 50 ANNI FA ~-r— NUVOLARI L'avventura senza freni del pilota più amato personaggio Stefano Semeraro NIVOLA» evaporò 1' 11 agosto di 50 anni fa, alle 6,30 del mattino, nel suo villone di Mantova, bruciato dai gas di scarico respirati in 30 anni di gare, sciolto in una estate caldissima. Se ne andò nel suo letto, in silenzio. Avrebbe voluto nascondere a tutti l'ultimo giro di pista, persino il funerale: «I Nuvolari no i vosa», i Nuvolari non fanno chiasso, ripeteva stanco in dialetto mantovano. Ma non era possibile. Allora stabilì il percorso del corteo funebre, le tappe, i tempi e i modi. Avrebbero dovuto vestirlo con l'inseparabile polo gialla -il colore dei Gonzaga - i calzoni blu, la tartaruga d'oro portafortuna dono di D'Annunzio, il vate, che gli aveva cucito addosso anche il soprannome ufficiale - a dire il vero molto poco immaginifico: «Il mantovano volante». Dopo centinaia di automobib, Nuvolari riuscì a mettere a punto anche la sua morte. Arrivarono a migliaia, decine di migbaia forse, e la bara la portarono Alberto Ascari e Luigi Villoresi, Juan Manuel Fangio e Leurco Guerra. In mezzo alla folla c'era Alfred Neubauer, l'ingegnere tedesco che per anni lo aveva ammirato e maledetto in gara. C'era Enzo Ferrari, arrivato apposta da Modena. «Entrato a Mantova mi fermai per chiedere informazioni al negozio di un meccanico raccontò il Drake - lui girò attorno alla macchina per vedere la targa, capì, e mi disse: grazie di essere venuto. Uomini come quello non ne nasceranno più». Tazio Nuvolari di sicuro ha guidato come dopo di lui nessun altro. Ha vinto 91 volte in 308 gare quando la Formula 1 non esisteva, quando le macchine erano creature miracolose, quasi organiche. Quando erano i piloti, semidei in maglietta e occhialoni, a creare le gare. Se ci fosse un nome solo da fare per trovare un sinonimo all'automobilismo da corsa, sarebbe il suo. Nuvolari curvava puntando in anticipo il gomito del circuito - o della strada - e teneva poi giù l'acceleratore come nessuno riusciva a fare, neppure l'elegante, compostissimo Varzi, per l'intero raggio della curva. La trazione ruggiva, la sua Alfa scivolava in un «derapage» etemo, su tutte e quattro le ruote, e quando la strada tornava dritta Nivola si ritrovava già allineato, la mascella a siluro puntata sulla vittoria. Era basso, nervoso, sgraziato, serio. La gente lo amava alla follia. Nato contadino nel novembre del 1892 a Castel D'Ario, un paese alle porte di Mantova, Nuvolari stringe il suo primo volante in un chiaro di luna, a 13 anni. Durante la Grande Guerra viene richiamato alle armi come «autiere»: guida - come, lo si può immaginare - le autoambulanze sul fronte orientale. Nel 1917 sposa Carolina Pema, dopo un «rapimento consensuale». Avranno due figli, Giorgio e Alberto, entrambi morti giovanissimi. All'agonismo Nivola arriva da motociclista, a 28 anni compiuti, correndo sulla Chiribiri, sulla Bianchi e poi sulla Indian, la rivale americana dell'Harley-Davidson. Vince molto, anche con entrambe le gambe ingessate appena una settimana dopo un terrificante incidente. La prima in gara in automobile la corre nel '21, a Cremona, su una Ansaldo tipo 4. La vince. Poi non si ferma più. Nel '28, comprando quattro Bugatti, fonda la sua Scuderia, nel '30, chiamato dall'Alfa Romeo, strappa la sua prima Mille Miglia, mandando in delirio l'Italia con un leggendario sorpasso notturno al rivale di sempre. Achille Varzi, beffato dopo un inseguimento a fari spenti nella Pianura Padana. Sempre su un Alfa, una P2, corre per l'appena nata Scuderia Ferrari. Nel '32 vince sette gare, compresa la Targa Florio, il GP di Monaco e quello d'Italia. In aprile D'Annunzio lo invita al Vittoriale e gli regala la famosa tartaruga («All'uomo più veloce l'animale più lento», la dedica). Mussolini lo vuole a Villa Torlonia, e posa gongolante dentro la sua Alfa P3. Un eroe dell'Italia fascista: ma la politica a Nuvolari non interessa. La usa e se ne lascia usare per il tanto che gli serve a nutrire la leggenda. «Pochi conobbero come lui la folla - scriverà Enzo Ferrari - pochi capirono quello che la folla voleva e seppero alimentare il proprio mito». Dalle foto di quegli anni Nuvolari ci guarda perplesso, a mascelle serrate, gli ocelli urgenti nell'ombra, con l'aria di chi ha fretta e altro da fare; oppure aperto in un sorriso impaziente e sempre un po' malinconico, anche con una coppa in mano. Corre anche con la Maserati, vince il terribile Tourist Trophy su una MG. «Come erano i freni?», gli chiedono mentre si asciuga il sudore dopo l'arrivo. «Non saprei -risponde lui secco -.Mica li ho usati tanto». Nel '35, sulla Firenze-mare, batte i record di velocità sul chilometro e sul miglio, toccando i 336 all'ora su una pericolosissima Alfa Bimotore. Ma in città, a Mantova, sulla sua Renault grigio topo, non supera mai i trenta. Non gli toglierebbero un punto dalla patente, oggi. Al GP di Germania, nel '35, invitato da Hitler al Nurburgring per farsi cortesemente battere dalle favoritissime Mercedes e dalle Auto Union di Ferdinand Porsche, emerge incredibilmente primo dall'ultima curva, dopo aver rimontato 30 secondi in im giro a Von Brauchitsch. I gerarchi nazisti lo premiano imbarazzati, increduli e incazzati. Lui senza sorridere risponde con il saluto romano: «L'importante - dice - è airivare imo». Vince anche in America, dove lo trattano da Divo, la Coppa Vanderbilt, continua a massacrarsi di incidenti. A Tripoli si incrina due costole in prova, ma scappa dall'ospedale e finisce 7" in gara. A Donington investe un cervo ai 130 all'ora. La testa dell'animale, imbalsamata, gliela recapitano a Mantova come trofeo e finisce appesa sulla porta dello studio. A Pan, nel '38, l'Alfa s'incendia in curva e lui si lancia dall'abitacolo. Ustionato e ammaccato, litiga con Ferrari e si ritira una prima volta dalle gare. Poi ci ripensa e firma con l'Auto Union, passando al «nemico». Nel '39, il 3 settembre, vince a Belgrado, mentre Hitler è già in Polonia. Finita la guerra Nuvolari toma in pista nel '46. Ha i polmoni stanchi e malati, soffre d'asma, i gas di scarico gli provocano la nausea. Ha seppellito anche il secondogenito Alberto, i capelli sono grigi, l'anima ferita. Ma alla Coppa Brezzi, a Torino, riesce a guidare una Cisitalia per un giro senza volante, impugnando a mani nude il piantone dello sterzo. Gli rimangono due Mille Miglia da leggenda. Nel '47, a 55 anni, va in testa, vomita senza smettere di guidare durante una tappa, si arrende stremato a Biondetti. L'anno dopo non si iscrive neppure, ma sulla linea di partenza gli offrono una Ferrali due litri e lui ci si infila senza fiatare. Riesce ad arrivare primo a Bologna, nonostante la macchina sia rimasta senza il cofano, parafanghi e un sedile. Ma a Reggio cede anche una balestra e sfuma l'ennesima impresa diabobea che per giorni aveva tenuto sveglia l'Italia lungo le strade. Nel '50 Nuvolari corre la sua ultima gara, la Palermo-Monte Pellegrino, su una Cisitaba 204 Spyder Sport. Non annuncerà mai il suo ritiro, forse indispettito per non essere riuscito a morire in gara come era accaduto all'amico-nemico Varzi, ad Antonio Ascari, a Campali, Fagiob e Brilli Peri, a tanti altri. Religiosissimo, si fa invece ricevere da Padre Pio, che a quanto sostiene la moglie apparirà ai piedi del letto del campione due giorni prima della fine: «Tazio, è venuto Padre Pio». «Ah, ho capito. Vuol dire che muoio presto». Il «più grande pilota del passato, del trasente e dell'avvenire», come o definirà Ferdinand Porsche, dopo aver discusso per decenni con la morte a velocità folle, se ne va immobile, un martedì mattina, rallentato dal male e quasi incapace di parlare, infilandosi in un curva invisibile da cui è impossibile salvarsi. «Anche lui è uscito di pista», dice davanti alla bara il suo vecchio e fedele meccanico, Decimo Compagnoni. Vinse 91 volte in 308 gare quando ancora la Formula 1 non esisteva Aveva cominciato a correre in moto, poi in auto: le sue Mille Miglia furono leggenda Enzo Ferrari diceva: «Nessuno come lui ha saputo incantare le folle». Il tedesco Porsche: «Il più grande del passato, del presente e anche dell'avvenire» Tazio Nuvolari scende dalla sua Alfa. D'Annunzio gli regalò una tartaruga: «All'uomo più veloce l'animale più lento»