Un imam yemenita per la filiale di Al Qaeda di Giuseppe Zaccaria

Un imam yemenita per la filiale di Al Qaeda UN GRUPPO CHE FA SEMPRE PIÙ' PROSELITI FRA LE MASSE DISEREDATE DELL'ARCIPELAGO Un imam yemenita per la filiale di Al Qaeda La strategia decisa dopo l'11 settembre: colpire l'economia del Paese analisi Giuseppe Zaccaria NESSUNO riuscirà a dividere l'Islam indonesiano»: subito dopo l'attentato di Bali (202 morti, lo scorso ottobre, nel rogo di una discoteca per occidentali) i leader dei tre grandi partiti confessionali dell'arcipelago, forti di dieci milioni di iscritti ed essenziali per la stabilità del governo, avevano lanciato questo messaggio quasi in maniera corale. A sei mesi di distanza, nel più grande Paese musulmano del mondo la strage del Marriot dimostra invece quanto urgente sia che i moderati distinguano le proprie posizioni da quelle della Jamaa Islamiya e dei gruppi di guerriglia che a pelle di leopardo continuano a diffondersi nel SudEst asiatico, dall'Indonesia a Mindanao, dalla Malaysia a Singapore. Il fatto è che a Giacarta i capipartito (e perfino alcune fra le maggiori cariche della Repubblica) non credono ai rapporti della loro polizia speciale, per la semplice ragione che dopo l'attentato di Bali la presidente Megawati Suharnoputri aveva dichiarato bancarotta anche per i servizi di sicurezza. Sei mesi fa, come adesso, la spaventosa crisi economica del Paese rendeva impossibile rimettere in piedi una struttura di sicurezza, e dunque le indagini sono state prese in mano dai servizi segreti australiani, con l'aiuto di quelli americani. Proprio in questi giorni nella capitale si conclude il processo contro Abu Bakar Bashir, 65 anni, l'imam di origine yemenita che ha dato vita alla Jamaa (significa «comunità islamica») ed è accusato di complotto contro lo Stato. Bashir, però, pur plaudendo alle imprese di Osama Bin Laden continua a negare di aver mai organizzato attentati o di avere consentito legami operativi con Al Qaeda. Su questo punto ci sono elementi che lo smentiscono, e li esami¬ neremo fra poco, ma intanto le dichiarazioni del sant'uomo continuano a essere diffuse nell'arcipelago e a infiammare gli animi, soprattutto nell'isola di Giava, dove ha sede la sua «pesantrem», la scuola coranica. Si usa ripetere da anni che se nel Sud-Est asiatico il ribollente magma islamico dovesse produrre un'eruzione ìe tragedie mediorientali ci apparirebbero quasi giochi da educande. Ebbene, quel rischio non è mai stato così palpabile, anche perché mai cosi devastante era apparsa la crisi economica e mai così possente e organizzata la predicazione dei mullah, che da Giogjakarta ad Aceh, da Irian Jaya al Bomeo occidentale sollevano duecento milioni di persone contro una politica sempre più impotente. L'imam Bashir può anche protestare innocenza (e nessuno può giurare ohe fosse al corrente di tutto quanto è accaduto nella Jamaa Islamiyah, né del fatto che due dei suoi uomini avrebbero partecipato all'attentato delle Twin Towers), ma un terrorista arrestato nelle Filippine ha raccontato che i suoi fratelli indonesiani hanno deciso la strategia subito dopo l'il settembre. Puntavano a colpire non i simboli del «satana americano» ma l'economia del loro Paese, non i palazzi del potere ma i luoghi in cui turisti e uomini d'affari occidentali usano ritrovarsi. Dalla strage di Bali il turismo, che è fonte di sopravvivenza per l'Indonesia, ha fatto registrare perdite stimate in 25 miliardi di euro, e adesso il nuovo attentato al Marriott apre scenari ancora più catastrofici. A partire dalla drammatica svalutazione del 1997 la rupia indonesiana ha proseguito la picchiata (solo ieri, dopo il nuovo attentato, 20Zo in meno), e le misure imposte dal Fondo Monetario hanno provocato in pochi giorni la scomparsa delle microimprese che a centinaia di migliaia consentivano la sopravvivenza di una manodopera pagata mezzo dollaro al giorno. Le rivolte culminate nella deposizione di Suharto e nel saccheggio degli ipermercati non hanno modificato la situazione : l'SV/o della popolazione di fede musulmana vive in un Paese nel quale meno del cinque per cento, di lontana origine cinese e fede cristiana, dispone dell'80% d-Ile risorse. Cinque anni fa in poche ore gli indonesiani videro svanire un benessere conquistato nell'arco di trent'anni, e subito dopo la perdita di Timor Est venne interpretata dai predicatori islamici come un'altra, subdola avanzata del cristianesimo in una'area musulmana fin dal periodo precoloniale. In un arcipelago di 12mila isole, trecento etnie e trenta religioni questo si traduce in un continuo stato di tensione (l'isola di Aceh è da mesi in sento d'assedio) sul quale la niccia del terrorismo può avere effetti devastanti. E in situazioni come questa storicamente l'Indonesia è abituata a guardare al «Tni», l'esercito, che per bocca del comandante Endriartano Suharto ha dichiarato di voler star fuori dalle questioni di ordine pubblico, ma potrebbe intervenire se dall'ordine pubblico si sconfinasse nella guerriglia. II leader della Jamaa Islamiya, l'imam Abu Bakar Bashir

Persone citate: Abu Bakar Bashir, Endriartano Suharto, Megawati Suharnoputri, Osama Bin Laden, Suharto, Towers

Luoghi citati: Aceh, Filippine, Indonesia, Mindanao, Singapore, Timor Est