«Ragazze, vorrei andare in giunta ma temo che non sarà possibile»

«Ragazze, vorrei andare in giunta ma temo che non sarà possibile» «Ragazze, vorrei andare in giunta ma temo che non sarà possibile» Emanuela Minacci «Ragazze, alle 14,30 c'è giunta. Mi piacerebbe tanto andarci, ma credo che non mi sarà possibile». E' stata questa l'ultima frase che ieri pomeriggio, poco prima delle 15, Matteo Brigandì, circondato dagli uomini della Finanza, ha pronunciato nel suo ufficio, tutto bianco e grigio, al secondo piano di piazza Castello 153. Le «ragazze», soprattutto, Roberta Topino, la sua addetta stampa, che è anche un'amica, lo guardano uscire con gli occhi lucidi. Alle loro spalle i computer sono puntati sull'Ansa e su quel maledetto titolo, che in giornata legherà un filone di notizie: «Truffa Regione Piemonte, assessore leghista agli arresti domiciliari». Brigandì non se ne esce dal portone principale, ma i fotografi e le telecamere lo intercettano lo stesso. Tempo di raggiungere l'elegante appartamento di via Carlo Alberto, e anche il suo staff, dalla segretaria Barbara Lacchia a Roberta Topino, si congeda mesto dall'ufficio. Canotta nera e jeans in tinta, e una collana estiva in corda. E' questo il look scelto per una giornata che più lunga non poteva essere per Roberta Topino, una che sentiva i cronisti tutti i giorni e oggi è costretta a dribblarli e a chiedere «un po' di rispetto, «perché sono sotto choc». Quando la Finanza si è presentata in piazza Castello lei era uscita per andare a fare un acquisto veloce: «Un'insalata da Perruquet, qui dietro» spiega concitata, tormentando il col¬ lier. Ne avrebbe di cose da raccontare, ma preferisce tacere: «Alla fine lo danneggerei, anche se tutti noi non potremmo che dire il meglio del nostro assessore». Un uomo, un politico, che sapeva tenere il gruppo, ma anche come farlo scattare quando c'era da lavorare duro «un Pesci ascendente Capricor- no, insomma - commentano nei corridoi - uno che ti rompe le scatole finché basta, ma solo perché vuole il meglio». Dopo la sua uscita da film, in mezzo agli uomini delle Fiamme Gialle, a parlare di lui resta una scrivania con il casco bianco dei Giaguari e un pallone da foot-ball americano, sistemati in bella vista, la bandiera della Padania vicino a quella dell'Europa e un bel quadro che tutti spiegano essere un «falso d'autore» di Tamara De Lempicka. Il suo computer è ancora acceso, la poltrona leggermente girata verso la parete: «Non capisco perché vogliate vedere questo ufficio» si lamentano i collaboratori, sino a schierarsi davanti agli ascensori per difendere la privacy di un signore «onesto ed entusiasta del proprio lavoro». Mentre gli ultimi addetti dello staff di Brigandì escono da piazza Castello, in via Alfieri il presidente Ghigo annuncia alla stampa che assumerà lui le deleghe dell'assessore. Nonostante le telecamere si siano spostate in massa in Consiglio regionale, sotto i portici di piazza Castello nessuno par¬ la. Pure l'usciere si rifugia nei «no comment». A lui è stato detto di raddoppiare i controlli, come del resto agli uomini dell'ufficio stampa della Regione. Loro se ne stanno lì, di fronte al baccano che stanno facendo giornali e tv, ma non collaborano: «Oggi non è proprio giornata - spiegano - mettetevi nei nostri panni». Da quella porticina al numero 153, però, capisci subito chi lavorava con lui. Se sorridono, non fanno parte dell'assessorato e non si sono neppure mai seduti sul divano Frau in pelle che sta nell'anticamera del suo ufficio: «Chi lavora con Brigandì oggi è a lutto - dice una signora bionda vestita di azzurro facendosi promettere l'anonimato - lui è un leader, un trascinatore, forse è per quello che ha sollevato tante invidie». li Saluto alle Collaboratrici in lacrime prima di uscire con i finanzieri «Matteo non è un uomo che può fare certe cose» ln piazza Castello vige la consegna del silenzio e anche i controlli all'ingresso del palazzo sono stati rinforzati

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