Boccioni sulla città che sale
Boccioni sulla città che sale CAPOLAVORI IN VISTA Boccioni sulla città che sale Fiorella Minervino E' ' stagione d'incertezza per l'apprensivo Boccioni. ' Severo, neghittoso, saturnino, pronto a risate come a risse improvvise, ostinato fino all'ossessione, è nel 1908 in dubbio sulla via da seguire fra il Balla di Roma, Parigi che gli ha svelato Cézanne e avanguardie, e Previati, conosciuto a Milano. Resta ammaliato dal Divisionismo, attento alla fusione tra personaggio, luce, atmosfera, paesaggio. Nel suggetivo Autoritratto si offre imbronciato, insoddisfatto, con colbacco e pastrano acquistati in Russia nel 1906. È su una terrazza, così da rendere una visione dall'alto del paesaggio che è presagio delle future «Periferie». Baffetti, occhi preoccupati e annoiati, orecchio esageratamente separato, bocca rossa socchiusa. Nel cappotto intensifica il Divisionismo con abilità estrema, una tessitura di filamenti, punti, scudisciate di colori )rimari (giallo, blu, rosso), tutto si mescola per esaltare a solitudine. Amico di Severini e di Soffici, Boccioni non ha ancora incontrato Marinetti e il prossimo gruppo dei Futuristi: accadrà nel 1910. Sul fondo compare la futura «città che sale», la Milano metròpoli de futuro che lui e i futuristi esalteranno come città moderna, dinamica. Cielo freddo, edifici in costruzione; alle spalle il paesaggio desolato e desolante, con figurine isolate, il carrettino inclinato all'indietro e trainato dal cavallo. Amava i cavalh, Boccioni, tanto da inserirli in opere come La città che sale, e nelle sculture. Monotonia, tonalità uniforme segnano ques'opera prefuturista, dove sofferenza, solitudine, ma pure materia e luce sono protagonisti. È una celebrazione della nuova città o più probabilmente un giudizio severo verso la periferia, le case uguali con ponteggi minacciosi? Questo, pare, è il Boccioni del ritratto. Nel diario, il 13 maggio 1903, annotava quanto al ritratto: «Mi lascia completamente indifferente... sono stanco e non ho alcuna idea». Forse di idee ne aveva troppe, scorgeva nel proprio disagio i pericoli d'una società industriale che cancellava campi e verde, trasformava contadini in lavoratori, lui sensibile ai contrasti sociali. Almeno in quegli anni. Autoritratto di Umberto Boccioni, 1908, olio su tela, cm70x100. Milano, Pinacoteca di Brera
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