Caspio, triste risveglio dall'Eldorado nero

Caspio, triste risveglio dall'Eldorado nero LE GIOVANI REPUBBLICHE NATE DOPO LA FINE DALL'URSS AFFIDAVANO AL PETROLIO I SOGNI DI OPULENZA Caspio, triste risveglio dall'Eldorado nero Marie Jégo NEGLI anni che seguirono il crollo dell'Urss, la regione del Caspio (un mare chiuso ricco di gas e petrolio) situata all'incrocio dei mondi turco, russo e iraniano sembrava promessa a un radioso avvenire. I giovani Stati che la circondano (Azerbaigian, Kazakhstan, Turkmenistan), descritti allora come futuri «piccoli emirati», si trovavano al centro di un vasto progetto di esportazione dei loro idrocarburi verso l'Occidente, pegno della loro uscita dall'ovile russo. Baku, la capitale azerbaigiana, ritrovò allora l'euforia del principio del Novecento, quando vi accorrevano uomini d'affari avidi di fortune costruite alla svelta sull' oro nero. Un secolo dopo l'arrivo dei fratelli Nobel, il vecchio porto del Caspio, con le sue torri di trivellazione in legno e le sue vestigia del culto zoroastriano (quello degli «adoratori del fuoco»), cominciò a brulicare di petrolieri, di avventurieri e di spie. Che cosa rimane oggi di quei sogni d'opulenza? Attraversate da crisi d'identità, invischiate in problemi economici ricorrenti, caratterizzate da regimi autoritari e clientelistici, le ex repubbliche sovietiche delle marche meridionali della Russia non hanno raggiunto la prosperità attesa. Sono riuscite sì e no a recuperare il tenore di vita anteriore al 1991. Non solo, ma sussistono tensioni tra le varie repubbliche, e lo status del Mar Caspio resta da definire. Certo, questo «Far East» rimane il teatro di un «grande gioco» tra Mosca e Washington, in cui le grandi compagnie petrolifere rivaleggiano a colpi di tracciati - in concorrenza tra loro - di oleodotti e gasdotti, le condutture del potere. Ma il ribasso generale dei prezzi del greggio, l'imminente arrivo sul mercato del petrolio iracheno e il crescente appetito della Russia per le risorse energetiche delle sue ex repubbliche satelliti ipotecano l'uscita della regione dall'isolamento. Il progetto più imponente di tutti - la costruzione del condotto BakuTbilisi-Ceyhan (BTC), che dovrebbe, collegare, su una distanza di 1730 chilometri e passando per la Georgia, i giacimenti offshore azerbaigiani al porto turco di Ceyhan, sul Mediterraneo, è diventato il cardine della politica americana nella regione. Malvista dai petroheri, che la giudicavano troppo costosa (3 miliardi di dollari), la costruzione del condotto, favorita a suo tempo dall'amministrazione Clinton, è ormai avviata. Il suo completamento, previsto per il 2005, rimane decisivo per gli Stati Uniti, pronti a contrastare i progetti russi e iraniani nel Caucaso e neh' Asia centrale, privilegiando al contempo la Turchia; ma permangono le incertezze sulla sua redditività. Infatti l'oleodotto può diventare redditizio soltanto a condizione che vi transiti il petrolio del KazaJkhstan, poiché la produzione petrolifera azerbaigiana non basta a farlo lavorare a pieno ritmo. Ora, si dà il caso che il Kazakistan, che dopo la scoperta del gigantesco giacimento di Kashagan (10 mihardi di barili) è la principale potenza petrolifera della zona, abbia altri progetti per la testa, come la costruzione di un oleodotto Nord-Sud verso l'Iran, un paese con il quale i traffici di greggio (mediante accordi di «swap», ossia di scambio diretto) sono cresciuti nel corso del 2003. Per il momento, è verso la Russia (verso il terminal di Novorossijsk, sul Mar Nero) che viene instradato il grosso del petrolio Una strada di B kazako. Ed è la stessa via che potrebbe imboccare il petrolio che comincerà a sgorgare dal jiacimento di Kashagan, secondo 'indicazione fornita da Uzakbai Karabalin, il presidente della compagnia pubblica kazaka KazMunaiGaz, in una conferenza regionale sull'energia svoltasi a Istanbul a metà giugno. Egli ha inoltre sottolineato che il Kazakhstan non esclude di «volgersi a Est» per esportare il suo greggio. È allo studio un altro progetto che prevede l'esportazione del petrolio kazako in Cina. Ed è giocoforza riconoscere che i rapporti delle società petrolifere occidentali con le autorità kazake hanno preso una brutta piega. Alle prese con difficoltà di trivellazione (diversamente dal petrolio iracheno, quello del Caspio è di difficile estrazione), il consorzio cui è affidato lo sfruttamento del giacimento di Kashagan (costituito dalla compagnia americana ExxonMobil, dall'anglo-olandese Royal Dutch-Shell e dall'italiana Agip) ha appena annunciato che, contrariamente alle previsioni, esso non produrrà il suo primo petrolio (early oil) nel 2005, ma nel 2007, il che pregiudica ulteriormente la redditività dell'oleodotto Baku-TbilisiCeyhan. Comunque sia, quest'ammissione non è piaciuta al presidente kazako, Nursultan Nazarbaev, il quale ha immediatamente minacciato d'infliggere una «penale per il ritardo». Poco tempo prima, lo stesso consorzio era stato costretto dalle autorità kazake a rimborsare un'esenzione dall'Iva da queste concessa sei anni prima. Secondo uno specialista di questioni petrolifere, potrebbe trattarsi di ima forma di rappresagha del potere locale, che non ha gradito il rifiuto opposto dal consorzio nell' inverno 2002-2003 all'idea di un ingresso della Cina nello sfruttamento del giacimento di Kashagan. In effetti, le minacce del governo di rinegoziare i contratti odi rinazionalizzare certi giacimenti si susseguono con periodicità regolare. A questo clima d'incertezza si aggiunge la corruzione, la cui ampiezza è stata rivelata dall'arresto, avvenuto a New York il 30 marzo, di James Giffen, un banchiere americano consigliere del presidente Nazarbaev, accusato di aver versato bu starelle per 78 milioni di dollari al presidente e alla sua corte. A un livello più modesto, il 12 giugno J. Bryan Williams, un ex dirigente della Mobil Oil Corporation, durante il processo che lo vede imputato a New York ha riconosciuto di aver versato una bustarella di 2 milioni di dollari per ottenere ima compartecipazione nello sfruttamento del giacimento di Tenguiz. Di recente l'Open Society Institute di George Soros ha fatto appello alle società petrolifere impegnate nel Kazakhstan e neh' Azerbaigian perché si preoccupino di più del buon governo e della democrazia (valori, in questi paesi, quanto mai precari). Rinunciando alla trasparenza, spiega il rapporto reso pubblico da questa Ong il 30 maggio, queste società potranno sempre essere accusate di aver sottopagato lo Stato - le transazioni più ingenti avvengono sottobanco - e di essere all'origine della povertà che costituisce il destino quotidiano delle popolazioni di questi «emirati». Sordi a queste preoccupazioni, ultimamente i potentati locali sembrano aver ritrovato un terreno d'intesa con il vicino russo, tornato in forze sulla scena energetica del Caspio. Dopo aver risolto a suo modo il problema dello status di questo mare chiuso (in particolare firmando contratti bilaterali con le tre repubbhche per la delimitazione dei fondali marini), la Russia vede transitare nei suoi oleodotti il grosso della produzione locale. In aprile Gazprom ha ottenuto il diritto di acquistare per vent'anni il 90 per cento del gas estratto nel Turkmenistan, la repubblica del Caspio specializzata in questa produzione. Comprato da Gazprom a 44 dollari per mille metri cubi, questo gas viene rivenduto sul mercato europeo a un prezzo doppio o triplo. Il gigante russo del gas, che s'è appena impegnato a fornire il suo gas alla Georgia, una piccola repubblica caucasica sprovvista di fonti di energia, ha così inferto un colpo a un altro progetto regionale caro all'amministrazione americana: la costruzione di un gasdotto che colleghi Baku a Erzurum, in Turchia, e il cui tracciato dovrebbe seguire quello dell'oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan. La manovra non è sfuggita a Steve Mann, il responsabile del Dipartimento di Stato per la regione del Caspio, il quale ha denunciato «il monopolio crescente» della compagnia russa nella regione. © Le Monde [Traduzione del Gruppo Logos] Una strada di Baku, la capitale dell'Azerbaigian

Persone citate: Bryan Williams, Clinton, George Soros, James Giffen, Marie Jégo, Nazarbaev, Nursultan Nazarbaev, Steve Mann