Tra «Le rose di Evita» con i profumi e colorì della Riviera di Orengo

Tra «Le rose di Evita» con i profumi e colorì della Riviera di Orengo i IN EDICOLA DA VENERDÌ' IL . . «LA STAMPA» A SOLI 4f 90 EURO Tra «Le rose di Evita» con i profumi e colorì della Riviera di Orengo E' lungo le strade ruvide del Ponente ligure avvolte di malinconica allegria che Marco, il protagonista, apprende la fatica di crescere Mirella Appiottì Una mattina presto di settembre del '93. Sulla Mortola è appena finita una pioggia leggera, esco sul terrazzo dalla piccola camera un po' provenzale un po' ottocento che mi è stata assegnata arrivando da Torino (sull'auto che portava anche Giulio Einaudi particolarmente allegro pensando al suo prossimo dispetto), nel gentile albergo che oggi purtroppo non c'è più e dove Orengo ha poi ambientato la sua «Guerra del basilico» e che si apre proprio davanti ai Giardini Hanbury, protagonisti di un altro romanzo di Nico, «Miramare» mentre laggiù a pochi metri dalla spiaggia dove si aggirava la trota, capace di legare i destini degli uomini di «Dogana d'amore», pochi giorni fa, il 19 luglio, francesi e italiani hanno inaugurato una scultura d'acqua. Ci aspetta nel pomeriggio la prima edizione del «Premio Hanbury», inventata e organizzata, non solo letterariamente, da Orengo con un gruppo di «amici dei giardini», da Marella Agnelli a Paolo Pejrone a Ippolito Pizzetti, e che ormai ha compiuto dieci anni ed è diventata punto di riferimento europeo, con l'apporto del Grinzane, per una sempre più complessa e non facile galassia di studiosi. ambientalisti, poeti. Il terrazzo è pieno di foglie, gli aghi dei pini di Aleppo bagnati, il mare ancora un po' scuro, tetti lucidi, nessuno in giro, anche la chiesa sopra la mia testa, sulla collinetta della Mortola, zitta. Quello che mi colpisce è quel colore viola dell'aria che si sente quasi come un odore, un momento sospeso tra la notte e l'attesa del sole, diverso da tutte le altre ore, dopo la pioggia, di altri luoghi di mare (in Versilia per esempio, ai Ronchi, al Poveromo, l'autunno sa di muschio, di ranocchi che saltano nei fossi, di fichi maturi che grondano gocce dolcissime). Finalmente capisco, forse proprio attraverso questo inatteso stupore che subito sfugge, dove si annida il mondo di Orengo, che come sempre va ben al di là dei colori e dei profumi, il sentimento di un attimo della vita dei suoi personaggi, dell'autore, di noi che leggiamo. Mi pare chiaro forse solo in quel mattino ormai lontano, a distanza di anni dalla prima lettura, perchè «Le rose di Evita» mi avevano lasciato una specie di innamoramento, la sensazione di essere scesa e salita anch'io negli anni giovani a salti, a sussulti, a occhi talvolta socchiusi per la troppa luce o per quella malinconica allegria che ti avvolge lungo le strade ruvide del Ponente. Là dove Marco, il ragazzo protagonista, apprende la fatica di crescere. Accanto al disperato lavorare del Padre lasciato solo da una sposa limpida e bella quanto ansiosa di vita che nel sogno del figlio si sovrapporrà all'immagine della encantadora argentina (Orengo, grande amico e rispettoso delle donne sembra non voler scegliere tra le due, i suoi accostamenti, insieme lievi e dolorosi, non lasciano suppore mai, non solo in questo tra i più belli dei suoi romanzi, una scala di valori), il Padre capace di rovesciare, zolla a zolla, le fasce in cui pianterà le rose Marcantù, proprio quelle che un tempo non lontano il suo stesso padre aveva offerto alla già esangue Evita nel suo breve passaggio sul mare e che dalla senora era stato invitato a piantarle nei suoi giardini della Casa Rosada. Un'avventura di cui restano una foto, la ferita nascosta nel cuore della nonna, personaggio appartato e bellissimo, la fantasia del ragazzo che ingigantisce l'icona della Regina scomparsa insieme all'epopea del «Cavaliere della valle solitaria», gli eroi dello schermo e quelli di una realtà impallidita che si concretizza appena in una immagine, un brandello, la Cadillac coupé de ville con cui la bionda Signora era passata per Bordighera, ritrovata dopo una lunga caccia come una liberazione, il mazzo di rose ridotto ad un mucchio di polvere, così Marco «cercò in tasca un fazzoletto e lo raccolse (...). Ora volendo poteva saperne di più, aveva cercato e conosciuto una parte di storia». Ma nessuna storia può uscire vera- mente dal suo mistero. Bisognava avere il passo leggero ma robusto di Orengo per inseguire, con questo bambinoadulto, il sogno che placa il dolore della perdita, mentre lui dalla casa del Padre spia o meglio «cerca» la madre, sulla collina di fronte, scambia con lei segnali di luce («Andarono avanti in quel gioco d'affetto aer un quarto d'ora...»), poi però Dasta il rumore di un motore che sale dal fondo valle verso la Casa Rossa per fargli temere un altro abbandono, ed era «come se gli fosse stato portato via qualcosa ancora del poco che gli era rimasto». Ma quando, tornato ad abitare da lei, i loro corpi una notte s'intrecciano e si cercano («Marco pensò che era sua madre ma anche Evita lì contro di lui...») e subito l'imbarazzo si scioglie nella dolcezza e in un riso, il ragazzo è ormai pronto per accogliere le diverse vite dei genitori. «Ridono come se prendessero insieme un acino da un grappolo che già conoscono...» aveva pensato Marco vedendo per la prima volta la madre con il nuovo fidanzato. Quel mattino di settembre del '93 a poco a poco era spuntato un sole bianco, con pochi aliti di vento che avevano asciugato le foglie giù sino alla villa che era stata degli Orengo a Hanbury. Sulla tavola dell'Eden, a pranzo, avevamo il pesce fresco, il pomodoro e il basilico, tra i commensali anche il grande, gentile antropologo Jack Goody, vincitore del primo Hanbury, Orengo con Einaudi erano di ritorno dal solito giro curioso e complice tra i brocanteurs di Grimaldi e Mentone. Ridono, anche loro. A entrambi piacciono le rose, piace Evita, ma soprattutto il mistero di quell'aria che prima del calar della sera, tra i sentieri tortuosi di Hanbury, ha di nuovo sapore di viola, Un'avventura che intreccia il lavoro del Padre ali'immagine del breve passaggio sul mare della "encantadora" argentina e che lascia una specie di innamoramento Bisognava avere il passo leggero ma robusto dell'autore per inseguire con questo bimbo-adulto il sogno che placa il dolore della perdita mentre cerca la madre sulla collina di fronte Il volume sarà in vendita con «La Stampa» da venerdì LE ROSE DI EVITA l.R SVAMPA ::m Nico Orengo, autore del libro «Le rose di Evita»

Luoghi citati: Bordighera, Torino