Fini: il governo conferma il sostegno al ministro di Antonella Rampino

Fini: il governo conferma il sostegno al ministro IL VICEPREMIER RINNOVA LA FIDUCIA AL GUARDASIGILLI E ALLONTANA I VENTI DI CRISI Fini: il governo conferma il sostegno al ministro «Contro di lui delegittimazione strumentale della sinistra» Antonella Rampino ROMA «Sbloccherò le rogatorie Mediaset». Quando Castelli finalmente pronuncia in Senato la frase che tutti aspettano da lui, da giorni, finalmente la tensione cala. E' il primo segnale di quello che, a fine giornata, sarà il ricompattamento della maggioranza su una vicenda che ha portato il governo fin sull'orlo di una crisi, mandando in scena la difesa e gli elogi al Guardasigilli da parte di Berlusconi e Fini e il simmetrico affondo del centrosinistra. Che a Palazzo Madama (ma non a Montecitorio) arriverà a chiedere comunque le dimissioni del ministro, proprio mentre va in scena la riconferma della fiducia: 121 isì, 166 ino del Senato alla mozione di sfiducia del centrosinistra. Sbloccherò le rogatorie Mediaset, «che non avevo mai bloccato, la sinistra mi odia perché odia le riforme», dice Castelh mentre tutto il Polo, ma non i centristi, lo applaudono fragorosamente. Scende ima lacrima sul viso del Guardasigilli. E Rocco Buttighone, che nei giorni scorsi diceva «la Lega vuole la nostra morte, se dobbiamo sceghere tra noi e loro sceghamo noi», porge affettuosamente il fazzoletto. Il copione previsto è ferreo, e verrà rispettato: il ministro è in Aula per la mozione di sfiducia presentata dal centrosinistra, e parte per primo con un vero e proprio affondo Nicola Mancino. Castelli, dice l'ex presidente del Senato, «ha commesso un arbitrio e un reato di cui potrebbe essere chiamato, e non glielo auguro, a rispondere penalmente». Un paio d'ore di dibattito, poi l'autodafé di Castelli: chiude Gianfranco Fini che difende «l'onestà intellettuale del ministro» dal «centrosinistra che vorrebbe fare un continuo girotondo attorno a via Arenula», dall'opposizione «che si è fatta prendere la mano dal giustiziahsmo, passando dal processo alle intenzioni di Mancino alla vera e propria condanna politica» Ma i centristi, finché non parla Fini, aspettano. Anche se Marco Follini piomba in Senato a dire «finirà come deve finire, cioè bene», c'è pur sempre Berlusconi da Mosca che fa sapere che «la vicenda è stata strumentalizzata, ma non trasformiamola in un boomerang». E Gianfranco Fini, che poi nell'Aula di Palazzo Madama darà la lettura ufficiale di quella frase, «E' stato Berlusconi a sbloccare le rogatorie, a dire chiudiamo la vicenda», in mattinata aveva detto alla direzione del proprio partito che «la Lega deve rispettare gli alleati», la «Lega dovrà accettare le pensioni». Insomma, finché non accade davvero quel che il Polo ha stabilito che debba accadere, tutto è possibile. Soprattutto, che Castelh si «allarghi» oltre l'intervento scritto. Una cosa prevedibile e temuta anche per il clima incandescente dell'Aula, tenuta da un suadentissimo Marcello Pera. Un coro di «vattene» (dal centrosinistra a Castelh) e di «buffoni, fuori!» (dal centrodestra al centrosinistra. Più cartelli, insulti, battibecchi e indisciplinatez¬ ze vane. Così, quando parte il dibattito, il capogruppo centrista Francesco D'Onofrio non si fida, «dirò la mia quando avrò sentito da Castelli che darà il via libera alle rogatorie». Nella tribuna degli ospiti c'è il colonnello folliniano Tabacci che segue attentamente il dibattito. A Palazzo Madama arriva pure Ignazio La Russa, che s'incolla a Calderoli. Nessuno, dai banchi dell'Udo, applaude Castelh. Solo il battimani che segue la «controfirma» che il vicepremier Gianfranco Fini appone al via libera alle rogatorie fa capire che l'esito della giornata sarà poi, come dice lo stesso presidente di Alleanza nazionale, «non ima sfiducia, ma una riconferma della fiducia a Castelh». La maggioranza, ricompattata alla fine di una crisi che poteva avere esiti imprevedibili, ha naturalmente i voti in Senato per bloccare la sfiducia posta contro il ministro dal centrosinistra. Ed è troppo tardi perché l'Ulivo e Rifondazione la possano ritirare : a termine di regolamento del Senato, quell'atto politico è solo nella disponibilità dell'Aula. Solo la maggioranza dei senatori potrebbe decidere il dietrofront, e Fini lo suggerisce pure come «parere del governo», ma sapendo benissimo che il Polo, adesso, avrà il suo trionfo. Un trionfo di carta, dice l'opposizione: «Alla vigilia di agosto, hanno messo una pezza alla crisi governo mandando in scena ima recita conclusa con una finta fiducia in un finto ministro», chiosa Gavino Angius. Alla Camera invece, preso atto del dietrofront di Castelh, l'opposizione ha ritirato la mozione di sfiducia. Una cosa che, raccontano, ha mandato su tutte le furie proprio Angius: Violante, nel decidere la mossa dei diesse a Montecitorio, in geometrica simmetria con Casini che aveva messo in mora un dibattito che non fosse sulla mozione di sfiducia a Castelli e ceduto però il passo al Senato, s'è naturalmente consultato con Fassino e Rutelli, ma non con il suo omologo di Palazzo Madama. Un cartello anti-Castelli esposto in aula dalla diessina Tana de Zulueta

Luoghi citati: Castelh, Mosca, Roma