E i gabbiani ripensano ai loro ardori quando passano davanti alla stazione di Mario Baudino

E i gabbiani ripensano ai loro ardori quando passano davanti alla stazione E i gabbiani ripensano ai loro ardori quando passano davanti alla stazione RECENSIONE Mario Baudino RECENMaBaudi L riccio finalmente si risveglia nel suo nido di foghe secche,/ e gh affiorano alla memoria tutte le parole della sua lingua,/ che, contando i verbi, sono più o meno ventisette». Per questo motivo morirà senza saper di morire, quando nel viaggio notturno alla ricerca del cibo incrocerà il tempo degh uomini, un'altra dimensione, l'auto destinata a investirlo. Non è un apologo, questa poesia di Bernardo Atxaga che inaugura la raccolta «Dall'altra parte della frontiera», pubblicata da Guanda a cura di Giuliano Sorda. E' piuttosto ima favola metafisica, al modo di Borges o di Queneau, autori peraltro cui lo scrittore basco è stato autorevolmente accostato. Atxaga (il suo vero nome è Joseba Iratzu) scrive nella sua antica lingua, l'euskera, ma si traduce da solo in castigliano, attraverso il quale è da tempo giunto in Itaha, soprattutto con i romanzi e le storie per bambini, tradotti da Einaudi, Feltrinelli, Piemme e altri editori. Ha composto anche testi per canzoni, ma la poesia è il suo primo amore, da quando nel '78 la raccolta «Ethiopia» lo rivelò come la voce più importante della letteratura dei Paesi Baschi. Questo libro riprende i temi centrali dell'autore, quelli per IONE o no esempio che abitano romanzi come «Obaba Koak», tradotto nel '91 dall'Einaudi, o le novelle di «Storie di Obaba», ad esso precedenti, e pubblicate l'anno scorso sempre dallo Struzzo: i veri protagonisti sono animali, o esseri umani gravemente limitati neUe loro capacità intellettuali. Le voci «zoomorfe» non sono però queUe di uomini travestiti, non sono portatori di una morale umanai Certo detto così è un paradosso: ma è vero che la scrittura di Atxaga è tutta tesa a scoprire la misteriosa, indecifrabile alterità degh animah, che in queste poesie diventa appunto queir«altra parte della frontiera» dove, in apparenza, non dovrebbe esserci linguaggio. Non solo il riccio, bestia del resto altamente simbolica per l'autore, impone così un suo quasi inafferrabile punto di vista in queste poesie, ma anche per esempio una cagnetta di nome Shola, o i gabbiani che «ripensano ai loro amori» quando si radunano «davanti alle stazioni ferroviarie» e hanno lo stesso cuore degh equilibristi, o un insetto a nome Lizardi, forse un grillo, che viene sepolto «lungo disteso/ tra i velluti/ di un nocciolo d'albicocca». La poesia di Atxaga sembra, a una prima lettura, facile e quasi «cantabile», con una lingua di forte impatto emotivo, che rinvia magari alle attente letture giovanili dello scritto- re sui poeti della «beat generation». Ma questa apparente cordialità è più uno strumento che non la sostanza dei suoi versi, vertiginosa e a tratti altamente enigmatica. Valga come esempio «37 domande al mio unico contatto dall'altra parte della frontiera», testo che dopo una lunga interrogazione ritmata su un paese sconosciuto («Dimmi, è felice la gente..?» «Non sognate mai granchi?» «Quando voi parlate del destino a cosa vi riferite esattamente?») trasferisce questo altrove con una mossa repentina nel qui ed ora: ««Sono molti, siete molti voi abitanti dell'altra parte della frontiera?/ Questa gente che vedo tutti i giorni per la strada, vive là?». Gli animali di Bernardo Atxaga: «Il riccio finalmente si risveglia nel suo nido di foglie secche e gli affiorano alla memoria tutte le parole della sua lingua che, contando i verbi, sono più o meno ventisette»... Bernardo Atxaga Bernardo Atxaga, Dall'altra partedella frontiera Guanda,pp. 727,ei1 POESIA

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