La scoperta tardiva di Pahor lo sIombito che vive a Trieste di Primo Levi

La scoperta tardiva di Pahor lo sIombito che vive a Trieste La scoperta tardiva di Pahor lo sIombito che vive a Trieste RECENSIONE Enrico Rossi RECENSEnricRosDESTINO singolare quello dello scrittore sloveno Boris Pahor. Molto apprezzato in Francia e negli Stati Uniti, dove il suo nome viene accostato a quelli di Primo Levi e di Imre Kertész, comincia ad essere conosciuto anche in Germania, e, con alterne fortune, ha goduto e gode di una discreta fama in Slovenia, nella cui lingua ha scritto tutte le sue opere e della cui cultura è stato ed è strenuo difensore. Ma Pahor è pressoché sconosciuto nel nostro Paese. Paese che pure è la sua patria adottiva, visto che è nato a Trieste nel 1913 e di lì non s'è più mosso: vi vive infatti ancora oggi, definendosi "tutto sommato un uomo fortunato". Evidentemente la fortuna segue vie imperscrutabili perché Pahor, iniziata la sua carriera di pubblicista nel 1938, dopo l'avvento della seconda guerra mondiale fu costretto a prestare servizio per il Reich, sul lago di Garda, in qualità di interprete per prigionieri. Durò fino al gennaio del 1944 quando venne arrestato a Trieste dalla polizia segreta tedesca: alcuni scritti gli costarono la deportazione come resistente sloveno nel campo di Dachau; di lì fu poi trasferito nei lager di Natzweiler, Dora-Mittelbau, Harzungen e BergenBelsen. Da quell'esperienza, nel 1967 - quasi vent'anni più tardi - uscirà "Nekropola", il libro in cui Pahor è riuscito ad affrontare i suoi ricordi di internato dandocene una visione indimenticabile. Il dolore, lo sgomento, la rassegnazione priva di qualunque dignità - sacrificata tutta all'istinto di sopravvivenza - e l'assenza di speranza sono così forti da rendere muta una disperazione fatta solo di urla sorde sfinite e silenziose. L'occasione, nel libro, è data dal ritomo dell'autore a Natzweiler, dove la visita al lager di comitive di turisti fa da rado contrasto ai ricordi del sopravvissuto che letteralmente sgorgano da ogni dettaglio del posto, da ogni particolare, immergendoci ogni volta profondamente nel regno del male. Un viaggio nel terrore reso un po' meno insopportabile dall'umanità dell'autore, che riesce a portarci così addentro alla disperazione grazie a una pietà d'animo fuori del comune: pietà, proprio, per l'animo umano. In Itaha il libro non trovò editori né riscontri, spesso nemmeno dinieghi. Perfino Primo Levi, richiesto di un parere sul testo, non rispose. Dopo la delusione iniziale, Pahor smise di preoccuparsene quando si rese conto, sono parole sue, che "l'essere uno scrittore sloveno a Trieste è considerato ancor più un fatto pohtico che letterario". E questa condizione l'aveva vissuta in prima persona fin da bambino quando nel 1920, attonito, aveva visto i fascisti bruciare la Casa della cultura slovena, ritrovandosi addosso, dopo di allora, l'incomprensibile colpa di parlare la lingua materna. Sentirsi straniero a casa pro¬ IONE co si pria, appartenere a una minoranza, linguistica sì ma non solo, divennero così gli altri grandi temi dei suoi libri, oltre che del suo impegno. All'estero invece le cose andarono diversamente per "Nekropola". Il testo, grazie anche all'interessamento di Eugen Bavcar, sloveno naturalizzato francese, trovò dapprima un editore in Francia, "la Table ronde", che lo pubblicò nel 1990 col titolo "Pèlerin parmi les ombres", e qualche anno dopo ne fece uscire anche un' edizione tascabile. Oltreoceano poi, per l'anniversario della Liberazione, le edizioni Harcourt di New York pubblicarono nel 1995 la traduzione inglese ("Pilgrim among the shadows"). Successivamente uscirono in Francia anche un libro di racconti e due romanzi, tra cui "Primtemps difficile", accolto con molto interesse tanto dal pubblico che dalla critica, che gli ha dedicato lunghi articoli. Infine "Neckropola" è stato tradotto e pubblicato perfino in Germania - dove certi temi ancora turbano più che altrove - seguito da "Kampf mit dem Fruhling". Chissà che il destino di Pahor non cambi anche qui da noi, i segni ci sono. Innanzitutto seppure in una veste editoriale anomala, è possibile leggere "Necropoli" anche in itahano grazie al Consorzio culturale del Monfalconese che nel 1997 ne ha curato la pubblicazione nella traduzione di Ezio Martin, pronta da più di tren'anni come risultato di un concorso per traduzioni dallo sloveno all'italiano. E poi c'è l'iniziativa dell'editore Nicolodi di Rovereto che dopo aver pubblicato due anni fa la raccolta di novelle "Il rogo nel porto", (il rogo è quello che tanto colpì il piccolo Boris nel 1920), l'autunno scorso ha dato alle stampe anche il delicato romanzo "La villa sul lago", dove tra i terrazzi degli ulivi e le gallerie delle strade che circondano il Lago di Garda sboccia una storia d'amore dai toni anche pohtici. L'auspicio è che con questo editore - magari con un po' più di impegno nelle traduzioni - possano finalmente trovare una vera "casa" in Italia anche gli altri libri di Pahor, e primo fra essi l'indimenticabile "Nekropola"; un'altra casa, forse un po' più sua, per un grande autore europeo. Pahor è pressoché sconosciuto nel nostro Paese che pure è la sua patria adottiva, visto che è nato a Trieste (nella foto) nel 1913 NE0 P ,».i Boris Pahor La villa sul lago AZ/'co/od/, pp. 2.3 7, e 13 Il rogo nel porto, Nicolodi, pp. 266, G. 12,91 HecropoW, Consorzio culturale del Monfalconese, pp. 195,6 72,39