Caso Moro: più verità in letteratura che in cronaca di Sergio Pent

Caso Moro: più verità in letteratura che in cronaca Caso Moro: più verità in letteratura che in cronaca RECENSIONE Sergio Pent GLI anni di piombo non hanno finora lasciato strascichi significativi tra le pagine dei nostri narratori: spunto d'autore per opere collaterali, massa ingombrante da traslocare senza incidenti, quel periodo oscuro che culminò il 9 maggio del '78 col delitto Moro è ancora l'inferno proibito del nostro passato. Si è scritto tanto di reduci, ex terroristi pentiti e non, cattivi maestri e coscienze da lavare, ma un vero prodotto pohtico non si è mai affacciato all'esame di maturità dei posteri. L'affaire Moro di Sciascia - spesso citato nel racconto-pamphlet del regista teatrale Marco Baliani - è ancora, in questo, una delle rare testimonianze pubbliche, filtrato dalla consueta, ieratica capacità dello scrittore siciliano di contrapporre l'arma dell'anahsi sociale a quella del narratore a tutto campo. Il «corpo di Stato» di Baliani è quello di Aldo Moro: una sorta di balena bianca della coscienza nazionale, un peso che travalica le possibilità di trasporto generazionale, l'ombra di un dubbio che ha comunque modificato la politica italiana. Il racconto di Baliani non suggerisce ipotesi diverse da quelle ormai canonizzate - il canto del cigno delle Brigate Rosse, l'ipotesi di complotto pohtico sfociato in un «delitto di Stato» - ma si limita a gestire l'onda dei ricordi personali proiettati nella vitalità trascorsa di una generazione pronta al cambiamento attraverso la lotta, anche armata. Giorni oscuri, cinquantacinque pesanti giri completi d'orologio in un'Italia spinta dall'ondalunga del boom economico ma prossima a una svolta determinante, senza più compromessi storici né rivoluzioni di stampo latinoamericano. Baliani ricorda con rustica semplicità volti e figure di quei giorni, gh amici che vissero gh ideali di cambiamento, il delitto mafioso allora quasi,ignorato dai media - di Beppino Impastato, i notiziari che riportavano l'incubo della foto di Moro all'ombra della stella delle Br, ima Roma blindata e preda del sospetto collettivo, mentre si fanno largo le velleità artistiche del narratore, diviso tra ansia di rinnovamento e paura del futuro. Tutto sembra concludersi con il ritrovamento del corpo di Moro nel bagagliaio della Renault, la macchina popolare simbolo dell'epoca, destinata - sembrerebbe - a svanire nella memoria collettiva dopo quel giorno fatale. Dal diario del presente Baliani commenta a distanza quel giomo emblematico e tragico, preparandosi ad una diretta televisiva dai mercati traianei di Roma, relativa a quel fatidico episodio pohtico. La traccia del presente è il punto d'anivo della memoria, in un tempo dove tutto risulta cambiato, anche i protagonisti della scena pohtica: «... era come se il corpo di Moro si trascinasse dietro un intero periodo storico e ne rivelasse, ne mettesse a nudo, relazioni e contraddizioni». Questo è l'assunto che dà il via al memorial-book di Baliani e della sua generazione, e sembra quasi che il «corpo di Stato» cominci ora a rivendicare nuove attenzioni, collocandosi sulla linea di confine tra il come eravamo e il vuoto d'ideali che siamo diventati. Non ci sono dita puntate o autocommisEi azioni generazionah, sempheemente il hmpido resoconto di un momento storico che sembra attendere, ancora, una collocazione ideale nei perenni conflitti della pohtica. Ancora una volta, come già sosteneva Sciascia all'epoca del suo «affaire», la verità risulta generata dalla letteratura e non dalla cronaca nera dei fatti. Marco Baliani Corpo di Stato - Il delitto Moro Rizzoli, pp. 109, e 7 PAMPHLET

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