La competitività della Ue soffre l'euro forte

La competitività della Ue soffre l'euro forte RAPPORTO DELLA DIREZIONE AFFARI ECONOMICI DELLA COMMISSIONE. L'ISTAT «SVELA» IL CASO-CINA La competitività della Ue soffre l'euro forte In un anno -1407o. E l'Italia perde posizioni anche rispetto a molti partner ROMA L'euro di nuovo si rafforza sul dollaro, toma la preoccupazione per la competitività dei prodotti europei e itlaiani. A Bruxelles la direzione generale per gli affari economici e monetari ha appena sfornato i dati aggiornati: nel secondo trimestre 2003 i produttori dell'area euro hanno sofferto una perdita di competitività sui costi (misurata contro 12 grandi Paesi industriali) del 3,507o. Rispetto a un anno prima al perdita è del 140Zo. Nel secondo trimestre, il cambio tra euro e dollaro si era spostato da una media di 1,08 in marzo a una media di 1,166 (superiore ai valori di ieri) in giugno. In Italia i settori più vulnerabili a un apprezzamento dell'euro sono, secondo ima analisi del Centro Studi della Confìndustria, nell'ordine quello delle calzature e delle pelli, delle macchine elettriche e meccaniche, dei mezzi di trasporto, dei mobili, dell'abbigliamento. Con l'euro più forte questi settori devono fronteggiare una concorrenza più agguerrita non solo sui mercati esteri ma anche sugli stessi mercati intemi dell'area euro e dell'Italia. Per giunta, secondo i dati appena pubblicati dalla Commissione europea, è peggiorata anche la competitività relativa dell'Italia all'interno dell'area euro. Negli ultimi due anni si è registrato un peggioramento lieve ma costante, mentre la posizione di Francia e Germania mighorava. Il motivo di base sta nella nostra inflazione più alta; ma c'entra anche la deludente dinamica della produttività. Gli economisti di Bruxelles avvertono però che questo calcolo va preso con cautela, perché è normale che all'interno dell'area euro le condizioni di costo convergano. Infatti cali di competitività più marcati di quello italiano riguardano Paesi che storicamente hanno costi più vantaggiosi, come Spagna e Portogallo. L'apprezzamento dell'euro si inserisce in una situazione già difficile per l'export italiano, nel 2002 calato per la prima volta in dieci anni (-10Zo a fronte di una crescita del commercio mondiale del 3,60Zo). Tra l'altro, la Banca d'Italia nota che del periodo dell'euro debole le imprese italiane sono riuscite ad approfittare meno di altre in Europa. Risulta da una analisi che mentre le imprese di altri Paesi cercavano di sfruttare al massimo il vantaggio modificando pochissimo i loro prezzi in valuta nazionale, le imprese italiane li hanno aumentati, «con una elasticità pari a 0,3 contro una media euro dello 0,1». Per l'insieme dell'area euro tuttavia l'attuale livello di competitività se pur molto peggiorato rispetto all'anno scorso non viene giudicato preoccupante in sé dagli esperti della Commissione europea, perché «grosso modo corrispondente alla sua media di lungo termine» (calcolata sull'ultimo ventennio). E' questa la tesi della Banca centrale europea, che però - si ritiene - comincerebbe a preoccuparsi se il cambio euro-dollaro si approssimasse a 1,20. Che ima parte delle difficoltà dell'export italiano siano dovute alla Cina lo confermano dati e analisi che il presidente dell'Istat Luigi Biggeri ha consegnato alle commissioni Bilancio di Camera e Senato. In sei settori di rilievo delle esportazioni, cioè calzature, mobili, gioielleria, articoli per la casa, articoli di maglieria non elasticizzata e abbighamento femminile, la quota di mercato mon¬ diale della Cina è cresciuta, nei 13 anni dal 1987 al 2000, dal 3,70Zo al 15,40Zo. L'Italia al contrario aveva il 18,90Zo nell'87 ed è scesa al 13,30Zo. Nelle sole calzature la Cina è passata dal 2,50Zo al 26,l0Zo del mercato mondiale, l'Italia è scesa dal 25,30Zo al 17,l0Zo. Nei mobili la Cina sempre nei 13 anni è salita dallo 0,90Zo a 7,407o, l'Italia è scesa dal 18,50Zo a 13,80Zo. L'Istat nota che al contrario i prodotti italiani hanno resistito bene nel settore tessile, «caratterizzato da una maggiore intensità capitalistica e di speciahzzazione», puntando sulla differenza di qualità e sul design. E in ogni caso c'è la contropartita che, arricchendosi, i cinesi acquistano una maggior quantità di merci italiane di altri settori produttivi, [r.r.] 1,20

Persone citate: Luigi Biggeri