Gergiev e Berlioz aprono Salisburgo di Giangiorgio Satragni

Gergiev e Berlioz aprono Salisburgo LA FRANCIA AL CENTRO DEL FESTIVAL AUSTRIACO Gergiev e Berlioz aprono Salisburgo Giangiorgio Satragni SALISBURGO D Festival di Salisburgo apre domani nel segno della Francia. L'austriaca e blasonata rassegna internazionale di musica, che durerà fino al 31 agosto, vuol rendere omaggio al bicentenario della nascita di Hector Berhoz e per questo motivo sceghe come prima manifestazione non un'opera ma un concerto, dedicato alla mastodontica e visionaria «Grande Messe des morts». Sul podio dei Wiener Philharmoniker (con il prezioso Wiener Singverein) sarà una delle figure più forti del panorama direttoriale, Valéry Gei^iev, che periodicamente incontra l'orchestra viennese ma continua a girare il mondo in lungo e in largo assieme ai complessi del suo Teatro Mariinskij di San Pietrobiugo: a Salisburgo li coinvolgerà l'il agosto in un'altra serata francese, l'opera «Samson et Dalila» di Saint-Saèns, superesaurita perché vi cantano Placido Domingo e Olga Borodina, sebbene in forma di concerto. La messinscena di un'opera francese arriverà quasi a ridosso di Berlioz, e saranno i «Racconti di Hoffmann» di Jacques Offenbach affidati alla regìa di David McVicar, che debutta al Festival e si porta dietro una fama non esattamente da stinco di santo. Per chi bada alla sostanza della musica la produzione salisbiughese aggiungerà qualcosa al mai definitivo stato della partitura, il cui autografo andò perduto: sono state rinvenute nuove pagine destinate all'atto di Giulietta e risuoneranno sotto la bacchetta di Kent Nagano con l'orchestra viennese e un cast di divi: Neil Shicoff, Ruggero Raimondi, Angelika Kirchschlager, Scile Isokoski, Waltraud Meier e Marjana lipovsek. Non si pensi che Salisburgo dimentichi Mozart, anzi il processo di rilettura scenica iniziato l'anno passato con il «Don Giovanni», allestito da Martin Kusej e pieno di modelle con indosso sola lingerie, continua con la ripresa dell'opera e prosegue con «La clemenza di Tito», in entrambi i casi dirigerà il celebrato e soporifero Nikolaus Harnoncourt. Ad Ivor Bolton, che poche settimane fa ha diretto a Firenze proprio il «Tito», toccherà però l'onore delle prima nuova produzione mozartiana, già il 27 luglio, il delizioso «Il ratto dal serraglio» con la regìa del norvegese Stefan Herheim. Ma Salisburgo non è solo tradizione, tanto che l'appuntamento di maggior prestigio sarà, il 12 agosto, la prima assoluta dell'opera commissionata dal Festival a Hans Wener Henze, il quale, risalendo ad antichi racconti arabi, ha scritto una fiaba ricca di simboli intitolata «L'upupa e il trionfo dell'amor filiale». I Wiener torneranno finalmente a suonare l'opera contemporanea, dopo che Gerard Mortier, il precedente responsabile del Festival, si ostinava a considerarli museali, mentre il suo successore Peter Ruzicka ha capito cosa sa offrire la loro tradizione innestata sulla modernità. Purtroppo si dovrà fare a meno della bacchetta di Christian Thielemann, genio con qualche sregolatezza, affaticato dal recente «Tristano» a Vienna e in agosto impegnato anche a Bayreuth: non farà più la spola con Salisburgo, dove avrebbe debuttato non solo come direttore d'opera, ma con un'opera contemporanea, cosa non frequente per lui, apostolo della germanità wagneriana. AI suo posto ci sarà Markus Stenz che, nell'allestimento di Dieter Dom, guiderà i migliori e più affennati cantanti della nuova generazione: lan Bostridge, Matthias Goerne, Laura Aikin e Axel Kòhler. Da segnalare anche, nella sezione prosa, la presenza del regista italiano Antonio Latella che l'S agosto mette in scena «Porcile» di Pasolini coprodotto dai teatri Nuovo di Napoli e Garibaldi di Palermo. La sua partecipazione avviene nell'ambito del progetto «Giovani registi» giunto al secondo anno.