«La scomparsa dei due fratelli non cambia nulla» di Francesca Paci

«La scomparsa dei due fratelli non cambia nulla» «La scomparsa dei due fratelli non cambia nulla» I patriarca dei vescovi caldei iracheni: «Anche se oggi va detto che siamo più liberi» intervista Francesca Paci TORINO S PIACE al patriarca dei vescovi caldei iracheni contraddire il presidente americano George W. Bush. Ma «l'uccisione di Uday e Qusay Hussein non cambia assolutamente nulla». Monsignor Isaac Jacques, rettore dell'Università Pontificia Babel di Baghdad, è appena arrivato a Torino, ospite dell'Istituto Missioni della Consolata. I figli del dittatore sono o no due assi calati dalla Casa Bianca nella partita per la pace in Medioriente? «Carte importanti, senza dubbio. La mano però, per continuare con la stessa metafora, non è chiusa. Gli eredi di Saddam non erano neppure nati quando lui si è impossessato del potere. Non sarà la loro morte a decretarne la fine». Sembra di capire che il fantasma del Raiss sia sopravvissuto alla prole. Guai è la situazione nella capitale? «Vi stupirò: molto più tranquilla di quanto non scrivano i giornali intemazionali. Gli iracheni si stanno rivelando un popolo con forti valori di civiltà. Non ascoltate solo il calcolo quotidiano dei soldati alleati uccisi: la maggior parte vive bene, a contatto con la popolazione. Non abbiamo ancora una vera forza di polizia, un governo visibile, la sicurezza è più mutevole del tempo, eppure la gente si autocontrolla. E' come se il vento avesse spazzato via la polvere e riportato in luce l'antica abitudine alla convivenza religiosa che ha fatto di Baghdad la patria secolare di cattolici caldei, armeni, ebrei, musulmani». Rinascita della socialità, dice. Però ammonisce dal cantare vittoria per l'eliminazione di Uday e Qusay. Nessuna contraddizione? «La dittatura di Saddam aveva mummificato l'Iraq, ma non sarò io a elencarne gli orrori. Sarebbe poco coraggioso oggi, dopo aver glissato ieri. La popolazione è più libera, è un fatto. Io, per dire, posso compilare il calendario liturgico senza dover includere i precetti del presidente. Una piccola grande cosa. Questo non vuol dire che il conflitto sia finito: da religioso ero contrario alla guerra prima e lo sono ancora. L'instabilità del Paese è la conseguenza dell'uso errato della forza, la morte dei due Hussein non risolve un bel niente». Ricordava la tradizionale convivenza religiosa. Come vivono i cristiani il cambio di regime? «Non abbiamo problemi. Co- munque, non più di un cristiano in Cina. Parlo a nome dell'intera comunità, che ha redatto un documento sull'unità della chiesa. Circa 750 mila caldei, armeni, assiri: nessuno che denunci intimidazioni di fanatici musulmani. La paventata minaccia sciita non si è manifestata. Gli islamici riconoscono che le radici del cristianesimo affondano anche in terra irachena, e ci rispettano». Che cosa vi aspettate dal nuovo governo? «Vorremmo essere riconosciuti cittadini non di serie B. Come comunità cristiana abbiamo chiesto alcune garanzie. Che l'identità religiosa sia cancellata dal passaporto; la restituzione delle scuole nazionalizzate da Saddam; l'abolizione di alcune leggi discriminanti, tipo quella per cui i figli di un matrimonio misto cristiano-musulmano sono destinati alla parola di Maometto. Garanzie di libertà».

Persone citate: Babel, George W. Bush, Isaac Jacques, Qusay Hussein

Luoghi citati: Baghdad, Cina, Iraq, Medioriente, Torino