Kundera, la sostenibile leggerezza del libro di Alberto Papuzzi

Kundera, la sostenibile leggerezza del libro DA JOYCE A DELACROIX: LO SCRITTORE SPIEGA IN UN SAGGIO IL MESTIERE DEL ROMANZIERE Kundera, la sostenibile leggerezza del libro Alberto Papuzzi UN romanziere chi è? Che cos'è un romanziere? Ecco uno di quegli interrogativi cui pensiamo di rispondere facilmente, ma che al dunque ci fanno mancare le parole. Le cose cambiano se a condurre l'indagine è uno scrittore che si appassiona all'identità delle parole, come nel caso di Milan Kundera, autore vent'anni fa delTInsostenflnte leggerezza dell'essere: il suo breve e spiazzante saggio Che cos'è un romanziere? apre U secondo numero di Adelphiana, pubblicazione annuale che Roberto Galasso ha inventato per la sua casa editrice (vedi scheda). Interrogarsi sui romanzieri significa spingersi sull'orlo di un abisso: sia perché il tema affonda nella storia delle letterature, da quando Petrarca verseggiava attorno a «sogno d'infermi e fola di romanzi», sia perché l'oggetto sfugge, si tratti di Tornasi di Lampedusa che afferma «Stendhal è Racine» o di James Joyce che fa dell'Ulisse la parodia dell'Odissea. La storia stessa della scrittura e della lettura, dai successi dei romanzi di Walter Scott alle dispense dickenseniane deiPicfcwic Papers, investe chi si lascia attirare dalle specificità dei romanzieri. Se miracolosamente Kundera sfugge alla trappola, è perché evita il confronto diretto: è vero che la domanda su cosa sia un romanziere è il titolo stesso del suo scritto, ma è anche vero che lui fa la mossa del cavallo: non si sogna di trovare una risposta diretta - invece aggira la questione, sceghendo sue strade, in apparenza distanti l'una dall'altra, in realtà tali da rispecchiare un percorso, in fondo al quale si delineano le risposte alla questione. Lungo 14 pagine e diviso in 13 capitoletti, il saggio ragiona sull'identità di chi scrive romanzi, passando attraverso Hermann Broch, l'estetica hegeliana. Madame Bovary, L'educazione sentimentale, un dipinto di Delacroix, ancora Broch, un pamphlet di lonesco, l'Albertine di Proust riletta dal poeta Ivan Blanty, un verdetto dello stesso Proust, un giudizio critico su Flaubert, quindi Gombrowicz, una polemica su Strawinskij, per chiudere con Cervantes, Che cosa viene fuori da questa specie di pastiche? Innanzi tutto, si scopre quello che il romanziere non è: non è un lirico. Nell'orizzonte dell'estetica, il romanziere è un passo oltre il lirismo. Nel senso che il lirismo, secondo Kundera, «designa un cer- to modo di essere»: il poeta lirico «è l'incarnazione più compiuta dell'uomo abbagliato dalla propria anima». L'età lirica è quella della giovinezza, in cui si è concentrati esclusivamente su se stessi e si scrive per far percepire se stessi agli altri. Il romanziere, al contrario, si piega a comprendere il mondo che lo circonda: rispetto al lirismo, la sua è ima conversione. La genesi di un romanziere è «la storia di una conversione». Egli nasce dalle rovine del suo mondo lirico. Spiega, perciò, Kundera che «Saul diventa san Paolo». Questa conversione è evidente nel passaggio di Flaubert dalla prosa romantica della Tentazione di sant'Antonio alla «prosa della vita» di Madame Bovary e dell'Educazione sentimentale. Di quest'ultima opera si cita un passo preciso: dopo una serata mondana, Frédéric rientra a casa e si guarda allo specchio. «Si trovò bello - scrive Flaubert -, e restò un minuto a guardarsi». Un minuto che condensa, per Kundera, tutta l'enormità della scen a Frédéric palpita di un pathos Urico, su cui si proietta una luce comica. Flaubert riesce a distanziarsi dal lirismo al punto da farlo oggetto di racconto: «La luce del comico, scoperta all'improvviso - annota Kundera -, è la ricompensa, discreta e preziosa, della conversione». Qual è la finalità della conversione? Dove si vuole arrivare? Il punto chiave messo a fuoco nello scritto di Kundera - se pure en passant - è l'idea che il mondo ci circondi e ci si offra sotto forme che sono già il frutto di una elaborazione: «Simile a una donna che si trucca per poi affrettarsi verso il suo primo appuntamento, il mondo, quando nasciamo, ci corre incontro già truccato, camuffato, preinteipretato». A questo proposito cade la citazione del grande quadro di Delacroix Libertà che guida il popolo, che mostra ima giovane donna a seni nudi su una barricata. Le pose convenzionah, i simboU logori sono la manifestazione della vicenda già scritta in cui siamo immersi. Il romanziere che glorifichi queste convenzioni si esclude dalla storia stessa del romanzo. Perché il segno dell'arte del romanzo è strappare al mondo il sipario della preinterpretazione. Questo è il gesto di Cervantes col Don Chisciotte: «Un sipario magico, intessuto di leggende, era so- speso davanti al mondo - spiega Kundera -. Cervantes mandò Don Chisciotte in viaggio e strappò quel sipario. Il mondo si aprì davanti al cavaliere errante in tutta la comica nudità della sua prosa». Naturalmente anche scrivere romanzi è sempre un'attività giocata su compromessi: si citano infatti l'impotenza di Broch di fronte agli orrori della camere a gas e la trappola della fama, la tentazione dell'immortalità, che insidia gli artisti. E' la maledizione del romanziere, la cui onestà «è legata al palo infame della propria megalomania». Ma c'è qualcosa d'altro, c'è una via di fuga, die permette al romanziere di liberarsi anche delle proprie megalomanie: è la preoccupazione per i personaggi ai quali dà vita. Kundera cita Flaubert che diceva: «L'artista deve fare credere ai posteri di non aver vissuto». Che cosa significa? Che il romanziere vuole proteggere non se stesso, bensì le sue Albertine, le sue Bovary, i suoi Frédéric, i suoi don Chisciotte. Viene alla luce il punto conclusivo della ricognizione di Kundera: il romanzo è quanto ci sia di più lontano dall'autobiografia. L'esempio più spettacolare è la Recherche di Proust, dove tutto sembra costruito su una traccia autobiografica, mentre non ve n'è la minima intenzione. Proust, per Kundera, ha scritto la Recherche non per parlare della propria vita, bensì per illuminare i lettori sulla loro. Il romanziere è colui che parafrasando Proust - offre al lettore la propria opera «per permettergli di scorgere ciò che forse, senza il libro, non avrebbe visto in se stesso». Tutti i grandi romanzieri, per Kundera, hanno sottoscritto queste parole. Però bisogna saperli leggera: non si lasci che la «morale dell'archivio» (note critiche, varianti, epistolari, scartafacci, eccetera) prevalga sulla «morale dell'essenziale»; si riconosca all'autore il diritto di fare ciò che vuole della sua opera. A queste condizioni, il romanziere è colui, unico, che ha reso possibile un romanzo: da lui inseparabile e senza di lui (d'inatteso stesso». ADELPHIANA N "2 Adelphiana 2 (327 pagine, 19 euro) contiene 19 saggi, oltre a un piccolo inserto Illustrato, Fra i vari testi. L'ultima lettera di Cristina Campo, un Intervento di Alexandre Kojève sul colonialismo, un caso clinico di Oliver Sacks, Il breve Ode di Fleur Jaeggy, una conversazione con JosefWehrle, infermiere di Robert Walser, pagine di Muriel Spark e di Rosa Matteucci, dello sceneggiatore Rodolfo Sonego, del produttore David O. Selznick, e il Calendario '47 di Ennio Flalano, -ss^- Milan Kundera visto da LeNew York Reviewbello - sc-, e resa gumiduca.sce adal lirismfarlo oggett«La luce deperta all'imnota Kundcompensa, ziosa, dellaQual è laconversionle arrivare?Il puntoa fuoco ne Milan Kundera visto da Levine, copyright New York Review/distr. ILPA

Luoghi citati: Lampedusa, New York, San Paolo