Giovane ucciso da un carabiniere, giallo a Brescia

Giovane ucciso da un carabiniere, giallo a Brescia FRATELLI DELLA VITTIMA: «A NOI HANNO DETTO CHE E' STATO UN INCIDENTE» Giovane ucciso da un carabiniere, giallo a Brescia «Aveva un atteggiamento aggressivo» Fabio Potetti MILANO «I carabinieri ci hanno detto che è stato un incidente». Come se bastasse questa giustificazione, che non è nemmeno una spiegazione a chiuderla lì. A mettere la parola fine - perchè di fine si tratta - alla vita di Stefano Cabiddu, che aveva 23 anni e veniva dalla Sardegna e lavorava come manovale a Crema e per caso l'altra sera si era fermato sulla strada vicino al bosco di Roncadelle. E per caso c'era una pattuglia dei carabinieri di Brescia che passava da quelle parti. E non si sa perchè a uno dei militari è partito un colpo dalla fistola d'ordinanza, calibro 9 ungo, a bersaglio in pieno petto, il proiettile che va da parte a parte. Insieme con Stefano Cabiddu c'erano i suoi fratelli di poco più jrandi, Raffaele ed Efisio, anche oro dalla provincia di Cagliari a fare gh operai vicino a Brescia. «Quando è partito il colpo di pistola, non sapevamo nemmeno che a sparare fosse stato un carabiniere». C'era buio, solo la sciabolata di luce della torcia dei carabinieri. E poi il lampo, quello della pistola che fa fuoco. E poi di nuovo buio, con il sangue che diventa nero sull'erba. E le voci che diventano grida e i carabinieri che via radio comunicano con la centrale, e alla caserma Masotti danno il via al valzer delle versioni. Tutte smentite dal racconto dei fratelli di Stefano. E dai fatti. Perchè non è vero che nel bosco poco lontano è stato trovato un coltello serramanico. E non sembra vero che il giovane avesse tenuto «un atteggiamento aggressivo» contro i carabinieri. Troppe versioni. Troppe giustificazioni. Le spiegazioni proverà a cercarle il magistrato di Brescia Silvia Bonardi, che ha aperto un'inchiesta. E in cima al fascicolo per omicidio colposo c'è il nome dell'appuntato dei carabinieri che ha sparato, poco più di 30 anni, con una certa esperienza. «Uno bravo, uno che qualche anno fa aveva affrontato e poi arrestato uno spacciatore che aveva cercato di accoltellarlo», dicono alla caserma Masotti a Brescia, alle prese con questa brutta storia senza giustificazioni. Niente versioni ufficiali. Solo tanto imbarazzo nelle parole del capitano Gabriele Adinolfi che non vorrebbe dire niente, quando gh mettono un micro¬ fono davanti: «C'è un'indagine in corso. C'è un magistrato». E ci sarà un'autopsia nei prossimi giorni. Anche se questa è l'unica cosa chiara: un colpo solo, emitorace sinistro, da distanza ravvicinata e Stefano Cabiddu non arriva vivo in ospedale. Per il resto le versioni sono diverse, molto diverse. A partire dalle 22 e 15 quando la pattuglia dei carabinieri incrocia la Fiat Uno blu scuro nel boschetto dietro al centro commerciale «Brescia2000». Sono i vigilantes del grande magazzino a segnalare alla pattuglia che passa per caso che ci sono tre persone dietro a una siepe. «Eravamo in quel posto per un bisogno di uno di noi», racconta Raffaele Cabiddu, la notte in caserma a stendere il verbale e poi al mattino con il magistrato. «I carabinieri ci hanno detto che è stato un incidente». Non deve essere durato nemmeno 30 secondi. Raffaele li ripercorre con il groppo in gola e le lacrime che manda giù a fatica. Si erano ritrovati tra fratelli come facevano di tanto in tanto, da quando avevano lasciato la Sardegna per venire a lavo- rare al Nord. Una pizza, qualche volta al ristorante, cose così senza pretese. E chissà quante altre volte erano passati da Roncadelle, dal bosco dietro all'ipermercato, davanti ai vigilantes e ai carabinieri che fanno avanti e indietro sulle strade della provincia e ogni tanto fermano a caso chi passa. Controlli di routine. Come domenica sera. Anche con la pistola in mano che il regolamento mica lo vieta. «Ho visto la luce di una torcia elettrica spuntare dagli alberi. Ho gridato "ehi" ed è partito il colpo di pistola. Quando nostro fratello era già accasciato a terra, abbiamo visto che a sparare era stato un carabiniere». Si capisce subito che il ragazzo a terra con un buco nel petto è grave. L'ambulanza arriva prestissimo, ma la corsa alla clinica Nuova Poliambulanza è inutile. Poi arrivano altre auto dei carabinieri con le luci blu e il magistrato di turno. E i fratelli di Stefano devono iniziare a difendersi. «Non avevamo alcuna ar¬ ma con noi e non è assolutamente vero che da parte nostra c'è stato un tentativo di aggressione». E non è vero che Cabiddu avesse precedenti penali in Sardegna. Qualche volta era capitato che gli controllassero i documenti. Come domenica sera, quando è successo qualcosa che non si è capito ancora bene. Se non che un carabiniere ha tirato il grilletto senza un motivo oppure gli è partito un colpo. E tutto quello che è venuto dopo, alla fine non serve proprio niente. E Raffaele Cabiddu è il primo a saperlo: «L'unica cosa che conta in questo momento, è che nessuno ci ridarà più nostro fratello». I vigilantes di un centro commerciale avevano segnalato un'auto sospetta in un boschetto vicino. «Ho visto il lampo di una torcia elettrica, ho gridato "ehi" ed è partito un colpo di pistola, poi mio fratello SÌ è aCCaSCÌatO» Il comandante dei carabinieri Adinolf Il luogo dove è stato ucciso il giovane