Simoni, un giorno da maglia rosa di Gianni Romeo

Simoni, un giorno da maglia rosa L'ITALIANO PRIMO SUI PIRENEI DOPO UNA FUGA D1190 KM SCATENA EMOZIONI MA ACCRESCE IL RAMMARICO Simoni, un giorno da maglia rosa Il re del Giro ritrova le forze e vince una dura tappa al Tour Gianni Romeo Dopo la splendida vittoria di Gilberto Simoni nella seconda tappa pirenaica del Tour siamo qui a misurare sulla bilancia se pesa di più la gioia o l'amarezza. Grande gioia, certo. Vedere un corridore italiano che conquista un traguardo di prestigio dopo una fuga di 190 km, di fronte a rivali agguerriti (secondo Dufaux, terzo Virenque), scatena emozioni forti, più ancora di quelle innescate dalle taglienti volate di Pelacchi. Quello ottenuto ieri dal trentino è un successo di grande spessore. Ma rende più acuto il rammarico per quello che avrebbe potuto essere il ruolo di Simoni, e non è stato. E' un Tour dove c'è tanta montagna, la grande amica di Gilberto. Dove vengono esaltate la capacità di soffrire, per via di un caldo atroce che succhia le energie e rende difficoltoso il recupero. Simoni è un corridore che sa esaltarsi, nella sofferenza, ma questa sua vocazione al fachirismo gli era servita fino a sabato soltanto come appiglio per non abbandonarsi alle sirene del ritiro che già avevano stregato altri (Pelacchi, ad esempio). Proprio sabato, vedendolo soffiare come un mantice per tenere le ruote non dei migliori ma dei gregari, lo staff della Saeco aveva invitato Gilberto a ritirarsi: toma a casa, gli avevano detto, conserva qualche energia per giorni e per avventure migliori. Lui aveva chiesto tempo. Una tappa ancora, un giorno di galera in più, per evitare la soluzione più facile ma anche più avvilente. E gli dèi del ciclismo l'hanno premiato con un bel successo. Propiziato, è vero, dalla sua cattiva posizione di classifica, perchè altrimenti Armstrong e soci non gli avrebbero concesso tanto spazio, ma non va in ogni caso sminuita un'impresa sportiva che ora gli consente di uscire dal Tour dalla porta principale. L'ha detto anche Leblanc, il duce della corsa: un vincitore del Giro ci doveva una giornata così. La Maglia Rosa di maggio non ha saputo domare quella bestia feroce che è il Tour, dove le fatiche e l'intensità delle battaglie sono moltipbcate per dieci rispetto alle altre corse. Si è avvilito dopo la cronosquadre dalla quale era uscito con for^e distacco e a quel punto è entrato in un tunnel senza luce. Accendendola soltanto ieri. Nel mestiere duro del ciclista tutto può succedere, l'altare e la polvere sono pane quotidiano. Ma una cosa non riusciamo a spiegarci: un corridore che si conosce profondamente, si studia, sa sempre dove può arrivare, come ha potuto accorgersi così tardi che quella bestia feroce del Tour lo stava disarcionando? Se guardiamo Ivan Basso, arrivato anche ieri con Armstrong e Ullrich (ora è sesto in classifica), dobbiamo fare tanti complimenti al giovane lombardo: ma tutti sanno che in una corsa a tappe Simoni vale il doppio... Nella sfida del Centenario, Armstrong sembra sceso dalla luna, è più umano; si ripropone alla grande Ullrich, che però in montagna non ha mai fatto sfracelli (chiedere a Pantani); fa la voce grossa un Vinokourov trentenne senza pedigree nei grandi Giri. E' insomma un Tour bellissimo per incertezza, il più equilibrato da quel famoso '98 di Pantani-Ullrich. Proprio per questo, perchè non c'è il fenomeno, poteva starci anche un duro come Simoni, vicino ai primi tre. Per questo Gilberto, con la lunga fuga e la bella volata, con la vittoria che l'ha riscattato, ha accresciuto il rammarico.