Addio Sandro Ciotti «la voce» di tutti gli amanti del calcio di Gian Paolo Ormezzano

Addio Sandro Ciotti «la voce» di tutti gli amanti del calcio SI E' SPENTO A 75 ANNI: PORTO' ALLA RADIO UNO STILE INIMITABILE Addio Sandro Ciotti «la voce» di tutti gli amanti del calcio Colto e innamorato dello sport, ma anche della musica: scrisse canzoni di successo e seguì 40 edizioni del Festival di Sanremo ritratto Gian Paolo Ormezzano IERI nelle redazioni sportive dei giornali italiani tanti giornalisti hanno speso molte ore a rievocare Sandro Ciotti, a rovesciare memorie addosso a chi non aveva avuto la fortuna di conoscerlo, a rinfrescarsi la vita ricordando allegri, intensi, interessanti momenti con lui. Molto sarebbe piaciuto a Sandro questo campiello affettuoso, divertente e divertito ancora prima che amoroso ma dolente, intorno al suo personaggio: a patto che anche lui potesse intervenire per autodissacrarsi. Sandro Ciotti, quello della voce grattuggiata, è morto ieri mattina nella sua casa romana, dove aveva voluto tornare dall'ospedal^|jimorg^|ipjmone) per spegnere la luce accanto ai suoi libri, al suo violino, al suo pianoforte, al suo bihardo, al suo guardaroba fornitissimo. Intorno a lui le sue tre sorelle. Avrebbe compiuto 75 anni il 4 novembre. Aveva lavorato sino a poco tempo fa, rispondeva - roco, rochissimo - ai radioascoltatori dopo le partite. Ha sempre lavorato: a diciott'anni i giornali romani, dal 1958 la Rai. E' del 1960 la sua prima radiocronaca di una partita: DanimarcaArgentina, apertura del torneo calcistico di Roma olimpica. Da allora 2400 altre partite raccontate dal vivo, 15 Giri d'Italia, 9 Tour de France, 10 Olimpiadi e 10 Mondiali di calcio. L'altro Ciotti, quello diplomato al Conservatorio, seguiva intanto il mondo dello spettacolo: servizi in 40 festival di Sanremo, e molti cinefestival di Venezia.. Faceva tantissime cose, e tutte bene. Naturalmente aveva giocato a calcio, mediano elegante nella Lazio, nel Forlì, nell'Anconitana. Naturalmente scriveva canzoni: anche con Dario Fo. Naturalmente era amico dei giocatori e dei cantanti inteUigenti: Johan Cruyff il grande d'Olanda lo volle come regista del film sulla sua vita, «Il profeta del gol»; Luigi Tenco era suo amico, Sandro fu tra i primissimi ad accorrere presso il cadavere del cantautore genovese. Naturalmente ballava da dio e conquistava belle donne. Naturalmente era romanissimo (mai romanaccio, per carità) e intemazionale. Naturalmente leggeva libri importanti e scriveva autobiografie piacevoli, piene di riconoscenza per la radio. Nello sport sapeva giocare al gioco calibrato della polemica così come a quello sfrenato della felicità per un successo. Mai moralista, era sempre profondamente morale. I suoi interventi radiofonici potevano essere passati tranquillamente alla stampa scritta, Sandro frequentava bene il club del congiuntivo. La voce, poi. Quella sua voce speciale che gli era nata dentro improvvisamente una mattina, ai Giochi olimpici di Città del Messico 1968, dopo che il giorno precedente aveva preso tanta pioggia. Irritazione e poi callosità - irreversibile - dei polipi in gola. Un arrochirsi subito forte, ed anche progressivo. Una caratterizzazione fortunata. Però gli spiaceva la corruzione della sua voce, gli vietava il bel canto. Tifava il calcio e non le squadre di calcio: casomai un po' di amore speciale per Lazio e Torino. Possedeva il lessico e soprattutto la cultura per essere sempre critico e mai cattivo. La sue radiocronache erano fluidi esempi di buon italiano, ma nulla c'era di leccato o di laccato. Sapeva tirar fuori al momento giusto l'aggettivo che smaltava tutto, il verbo che leniva violenze, stemperava drammi, autorizzava sorrisi. E poi palleggiava molto bene con l'umorismo, con l'ironia: il suo padrino di battesimo si chiamava Alberto Salustri, ma lo conoscevano tutti come Trilussa. Proprio il gran poeta. Non sappiamo se Sandro abbia amato di più lo sport o il lavoro. 0 se gli sia riuscito con i due ingredienti un cocktail perfetto, ima pozione magica, una mistura di successo. Sembrava sempre che lavorasse per sport. E quando si metteva le scarpette per giocare a calcio assumeva seriosità da lavoratore, d|, professionista del pallone. Tm^fflvhr» un ottimo^ atleta della montagna, un arram-^ picatore: le sue origini erano cadorine, ogni anno si scalava in vacanza un po' delle vette degli avi. Diceva che il suo cognome nasceva dal dialetto veneto di soldati mercenari del tardo medioevo. Non avevano anagrafe, per chiamarli i capi dicevano, appunto alla veneta, «ciò, ti», cioè «ehi, tu». E si formavano le compagnie dei «cio-tì», dei Ciotti. Un discorso funebre, secondo lo stile anglosassone, dovrebbe ricordare anche la sua competenza di vini francesi, il suo sapersi appendere all'eterna sigaretta come neanche Humphrey Bogart in Casablanca, le sue magie con le carte, dal poker allo scopone, e il suo saper vincere la notte dalle povere offerte di sonno: Sandro stava su un suo fuso orario, era sempre come se fosse a New York e a Tokyo insieme, beati quelli che ce la facevano a girare il mondo con lui, magari senza spostarsi da un tavolo da gioco. Poche ore prima lui aveva provveduto a.,far raggrumare tutto il mondo in una cabina dello stadio, con fé éue esperienze, i suoi ricorsi, la sua poltiglia di cose tutte inserite «alla Ciotti» in una sempre speciale radiocronaca. A Sandro Ciotti, romano di nascita e amante delle arti, si ispirava a Trilussa. Di Brera non era amico, ma ne riconosceva la grandezza