Il mostro dai piedi di fauno
Il mostro dai piedi di fauno ECCESSI Il mostro dai piedi di fauno AldoCazzullo C' È un anniversario di cui nessuno si accorgerà. Anniversario numero cento. Una storia macabra di cui si è quasi persa la memoria. E' l'anniversario del «mostro dai piedi di fauno», come lo chiama Renzo Rossetti in un prezioso volumetto di storia torinese, Un secolo di gialli veri. È una storia dell'estate 1903. La Torino di De Amicis e di Lombroso, di Franti e dell'«uomo delinquente». Lo scenario è il palazzo Saluzzo di Paesana, secondo Marziano Bernardi il più bello del centro storico. Un anno prima era scomparsa una bambina di cinque anni e mezzo. Veronica Zucca, fighe dei proprietari del caffè Savoia. La pohzia fermò un ragazzo, Alfredo Conti, di 16 anni, che aveva lavorato come cameriere dagli Zucca prima di essere licenziato. Ma aveva un alibi. Il caso era già negh archivi quando un falegname. Angelo Damiano, trovò sotto la facciata di via Garibaldi, dove sarebbe sorto il cinema Alpi, poi ribattezzato Chaplin, un piccolo vano da cui proveniva un odore mefitico. Dentro un vecchio cassone, con lo stemma del marchese Marco Saluzzo di Paesana, c'erano i resti di una bambina. Veronica. Torino impazzì. La polizia arrestò tutti i sospetti. Testimoni reticenti. Il padre della piccola. Di nuovo il cameriere. Il cocchiere del marchese di Paesana. Un anno e mezzo dopo scomparve un'altra bambina di 5 anni. Teresa Demaria, figlia di un gasista, che abitava al quarto piano del palazzo. Passarono invano un giomo e una notte. La trovò il portinaio, Carlo Tosi, in fondo a un corridoio. Ferita da tre coltellate, ma viva. A trascinarla là sotto era stato un inquilino delle mansarde, Giovanni Gioh, un ragazzone ritardato di 23 anni, con la mente di bambino. Al processo non diede spiegazioni. Raccontò solo, in piemontese, un sogno ricorrente: acqua, un'ombra, un fantasma che lo inseguiva. Poi tirò fuori un pezzo di pane e prese a sbocconcellarlo, con aria assente. Gh riconobbero la seminfermità mentale, gh diedero comunque 25 anni e 2 mesi. Lafolla assediò a lungo il tribunale per linciarlo. Quando riiiddrono a portarlo fuori, in carrozza, si sporse solo un attimo, pronunciò le uniche parole sensate che gh abbiano mai sentito dire - «A 48 anni sarò fuori» -, e, prima che la porta si richiudesse, sogghignò. Un ghigno che sarebbe piaciuto a Franti, forse anche a Lombroso. y*-. w
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