«Supernonno» dì magica semplicità di Sandro Cappelletto

«Supernonno» dì magica semplicità UNA MUSICA CHE SEMBRAVA APPARTENERE ALL'ALBA DELLA STORIA DELL'ASCOLTO «Supernonno» dì magica semplicità Quel lieve disincanto, immagine di «revolución alegre» ritratto Sandro Cappelletto COME si divertiva a suonare e cantare. Era diventato, in vita, un monumento, ma lieve, alla felicità della musica, all'ottimismo saggio nonostante tutto. Con i cinque figli vicini, probabilmente senza il sigaro Corona in bocca e con l'harmonico, la sua specialissima chitarra a sette corde chiusa in una custodia, è scomparso ieri all'Avana Compay Segundo. Aveva 95 anni, era rinato al successo internazionale da quattro, da quando il regista tedesco Wim Wenders gli aveva dedicato uno splendido documentario d'autore, il «Buena Vista Social Club». Da allora questo «superavuelo», supernonno che aveva iniziato la propria carriera artistica nella Cuba dei casinò e delle riviste ed era ospite abituale dei teatri americani ed europei. L'immagine, forse l'ultima rimasta, l'ultima possibile, di una «revolución alegre», senza tragedie, come all'inizio voleva essere quella di Fidel Castro. Piaceva il disincanto allegro del suono e del canto, quel modo di raccontare le parole di una canzone quasi parlando. Senza troppa hi-tech, senza eccessive metalliche risonanze di jack, senza riverberi e ritardi amplificati. Una voce che sembrava provenire dall'ai di là, come appartenesse all'aurora della storia dell'ascolto e del modo di porgere un canto che era conversazione. Intimo, confidenziale, sensuale con spirito. Maximo Francesco Repilado Munoz, come davvero si chiamava, è stato ricco quando, all'inizio degli Anni Quaranta, suonava con i suoi muchachos al Capitolio dell'Avana e incideva i primi dischi. Aveva iniziato da ragazzino maneggiando un tres, lo strumento a corde tipico della tradizione cubana. Ha conosciuto il più profondo disinteresse mediatico durante i primi anni della rivoluzione castrista, quando la sua musica veniva giudicato nient'altro che uno svago folclorico. Ma Segundo, il «secondo» di Lorenzo Herrezuelo, il musicista con cui ha a lungo suonato in duo, era uomo dalle molte, pratiche risorse: operaio in una fabbrica di sigari, ebanista, barbiere, se capitava anche attore. Vita senza troppo scialare, qualche volta anche grama, accettata con allegra dignità. Lo Smithsonian Institut di Washington lo riscopre negli Ottanta, durante una ricerca musicologica sulle tante radici, africane ed europee, della musica caraibica. Lavora con un altro chitarrista, Ry Cooder, e incidono assieme un disco che vince il Grammy Award nel 1997, vendendo moltissime copie, come accadrà poi per «Lo Mejor de la Vita». Poi l'incontro con Wenders, l'europeo inquieto che cerca e trova voci e vite incorrotte capaci di restituire il piacere intimo del fare musica. Segundo e gli altri vecchietti del gruppo sembrano come miracolati da questa fiammata di notorietà, tanto repentina quanto inattesa. «Bisogna saper aspettare la grande occasione ed essere pronti a coglierla: la mia è arrivata a 90 anni», amava ripetere Compay. Il successo, oltre ad una seconda giovinezza artistica, gh era valso anche la benevolenza del regime. Castro in persona gli aveva reso omaggio dopo il successo di «Buena Vista» affermando che Compay rappresentava con la sua musica ed il suo carattere «l'anima più autentica» di Cuba. Lui, con la sua musica «salsa», ma soprattutto con quella svagatezza ironica, come se fosse sempre stato di casa, anche nella nostra. Come un lontano padre ritrovato e improvvisamente di nuovo necessario.

Luoghi citati: Avana, Cuba, Washington