COMPAY SEGUNDO chitarra di CUBA di Marinella Venegoni

COMPAY SEGUNDO chitarra di CUBA Si SPEGNE A 95 ANNI IL GRANDE MUSICISTA: DIMENTICATO DOPO 1 SUCCESSI DEL DOPOGUERRA, LA RISCOPERTA GRAZIE AL «BUENA VISTA SOCIAL CLUB» COMPAY SEGUNDO chitarra di CUBA Marinella Venegoni DELLA compagnia dei «Buena Vista», Compay Segundo era il membro più anziano e più autorevole, ma anche il più appariscente. Con il mezzo metro di sigarone che gli pendeva eternamente dalle labbra, il bicchiere di rum in mano, quel panama bianco calato in testa e un sorriso da cartolina, era il personaggio più adatto a far da vetrina all'incredibile saga di una generazione di immarcescibili perduti fino alla vecchiaia nell'anonimato di una Cuba senza storie individuali, e riscattati infine per magia dalle ricerche di Ry Cooder prima e dal film di Wim Wenders poi. Senza lo straordinario successo del i? .ena Vista Social Club e dei suoi protagonisti, non ci sarebbero né l'attuale revanche della terza età, né le Velone né il nuovo programma dei seniores di Guglielmi per Raitre; la musica popolare anticipa sempre fenomeni più vasti, pochi ci badano. Compay, al secolo Maximo Francisco Repilado Munoz, ha lasciato il letto di casa sua domenica scorsa in Calle Salud, a 95 anni, per un'insufficienza renale. Da qualche tempo non stava troppo bene ma appena due giomi prima lo avevano visto in pubblico in un albergo dell'Havana, a un concerto in suo onore organizzato da uno dei cinque figli. Se n'è andato con eleganza, come aveva imparato a vivere grazie alla tardissima agiatezza regalata dal Grammy vinto, dai concerti in tutto il mondo e dai dischi che erano fioriti copiosi, anche esageratamente, sull'onda del successo del film. Gli avevano fatto fare di tutto, i suoi impresari, perfino incidere duetti con Khaled o Charles Aznavour; lo sfruttamento dei signori del Buena Vista ha avuto punte che ci facevano sentire a disagio, ma lui (come gli altri) accettava ogni cosa come un regalo tardivo del destino, e anzi da lassù sarà ora assai dispiaciuto di non aver potuto suonare ancora a lungo, e arrivare a uguagliare il record di sua nonna che aveva abbandonato il corpo a 115 anni. «Mi piacciono i tramonti aveva detto qualche tempo fa con delicata metafora -. Purché siano tramonti lunghi». La sua saga insegna a non perdere mai la speranza. La notizia della sua scomparsa è arrivata nella stessa serata di domenica dalla tv cubana, ma per lunghissimi decenni Compay come i suoi colleghi è stato un uomo comune («ho lavorato vent'anni in una fabbrica di sigari, ho fatto il barbiere e l'imbianchino e anche l'attore in due film messicani», raccontava) abituato a vivere con il minimo ai margini dell'ortodossia castrista (all'inizio dei '90 gli esperti di musica cubana non sapevano neanche che fosse ancora vivo); trovava conforto a perpetuare i suoni della sua isola e a creare restando nel solco della tradizione cubana, dell'epoca Batista e dei caudillos precedenti. Come i suoi compagni non parlava volentieri di pohtica, ma della rivoluzione di Castro ricordava: «Leggevo il giornale che diceva: sette uomini disarmati sì sono ribellati sulla Sierra. Dopo una settimana Castro entrava nella capitale, la verità era molto più ampia; quando un popolo non vuole più un governo, ha il potere di rovesciarlo». Era nato a Siboney il 18 novembre 1907, e con la famigha s'era poi spostato nei dintorni di Santiago, cuore della cultura musicale locale. A 14 anni suonava il clarinetto nella banda e il tres, strumento a corde cubano; ma erano ancora anni di «danzon» e di romanticismo, solo più tardi si sarebbe affermato definitivamente il «son», che avrebbe mescolato i ritmi africani e il Urismo spagnoleggiante, dando voce alla comunità nera locale. Compay lavorò sempre in questo solco, rinnovando con un proprio stile che spostava le regole del ritmo: aiutato da una chitarra a sette corde che aveva inventato e che chiamava «armonica», e dalla voce inconfondibOe, profonda. Cam¬ biò spesso formazioni. Alla fine dei '40 la militanza nel duo «Los Compares» gh diede il nome d'arte; Compay era il compare, l'uomo di cui ci si poteva fidare; Segundo significava che era bravo nella seconda voce. Dal '53 cominciò ad esibirsi fuori dai confini, nel resto del Caribe; la rivoluzione lo riportò a casa e a lavori manuali, ma non perse mai il buonumore. Andava pazzo per le donne. Ancora poco tempo fa, confessò a Parigi a un intervistatore: «Ho tre fidanzate a Cuba che mi aspettano, spero di diventare padre per le sesta volta». Wri r Alcuni del componenti del «Buena Vista Social Club»

Luoghi citati: Cuba, Parigi, Santiago