L'ira di An riporta in campo il Cavaliere-mediatore di Ugo Magri

L'ira di An riporta in campo il Cavaliere-mediatore GIRO DJ CONSULTAZIONI TELEFONICHE DA ARCORE DOPO L'USCITA DI SPERONI: ALLA FINE PARE TORNARE LA CALMA L'ira di An riporta in campo il Cavaliere-mediatore «I leghisti giocano con le parole», a sera il presidente frena il Carroccio retroscena Ugo Magri ROMA GIANFRANCO Fini era là, con l'obice puntato, che aspettava al varco la Lega. Una mezza parola fuori posto di Bossi o di qualcuno dei suoi, e lui non gliel'avrebbe fatta passare. «Ci provino a fare i furbi», pregustava la scena verso l'ora di pranzo un colonnello di An, «noi ne approfitteremo per mettere i puntini sulle "i" una volta per tutte». Così, appena Francesco Speroni ha reso noto a metà pomeriggio che la devoluzione non conterrà alcun riferimento air«interesse nazionale», dunque il Carroccio può cantare vittoria, è partita la salva d'artiglieria. Fini era ospite al ricevimento dell'ambasciata di Francia, ma tutto - come s'è detto - era già predisposto. Ignazio La Russa ha lanciato il segnale convenuto («I leghisti giocano sulle parole o sono poco informati...»), Mario Landolfi ha dato fuoco alle polveri: «Se non c'è l'interesse nazionale, o l'esplicito riferimento a questo principio, non c'è neanche la devoluzione». Ma senza devoluzione, lo sanno tutti, non ci sta la Lega: vuoi vedere che con la verifica si ricomincia daccapo? Silvio Berlusconi si trovava in quel mentre ad Arcore. Stava sbrigando gli affari del semestre europeo, con un orecchio al Dpef (casomai Giulio Tremonti avesse bisogno di qualche suggerimento). Però nutriva un presentimento: fin dalla mattina il portavoce Paolo Bonaiuti, incaricato di reggere i fili del dialogo con An, aveva percepito una calma irreale, del genere che non promette nulla di buono. Alle 17 è squillato il telefono di Villa San Martino: «Ahi, ahi, ci siamo... Da Alleanza nazionale pregano di farti sapere, presidente, che tra poco Landolfi farà una dichiarazione...». Perle successive tre ore il premier non ha avuto un attimo di requie. Anzitutto, ha cercato Fini al telefono. Inutilmente, però, dal momento che il vice-premier si trovava a Palazzo Farnese. Allora, per non perdere tempo, ha ripiegato su La Russa. Al capogruppo di An ha garantito di non aver mai dato il via libera alla Lega. Un riferimento all'interesse nazionale ci sarà senz'altro, magari sotto forma di richiamo all'«ordinamento giuridico della nazione». E se non sarà direttamente inserito nel testo sulla devolution, poco importa: com- parirà in qualche altro capitolo della Grande riforma istituzionale che il governo metterà in. cantiere. «Chiarisci tu queste cose con una dichiarazione», ha suggerito il premier a La Russa, «ma prima aspetta un attimo, debbo fare una piccola verifica». Il tempo di abbassare la cornetta, e Berlusconi ha subito chiamato Bossi. Le parole esatte del premier non sono note, ma in sostanza gli ha anticipato quanto il capogruppo di An stava per dire. «Da parte tua nessun problema, vero Umberto?», ha domandato il Cavaliere gioviale. Dall'altro capo del filo è giunto un suono che Berlusconi ha inteso come approvazione. Nuova telefonata a La Russa per il via libera alla dichiarazione. Poi un'oretta di trepidante attesa per esser certi che Bossi non avesse cambiato idea. Verso le nove ad Arcore è suonata la sirena del cessato allarme: nessuna reazione da Gemonio. A quel punto s'è fatto vivo anche Fini, e Palazzo Chigi racconta la telefonata come assai cordiale (via della Scrofa dà identica versione). I centristi se ne sono stati in disparte. Marco Follini è intervenuto quanto basta per non delegare a Fini la difesa dell'interesse nazionale. E' condizione della devolution, ha detto, «come nel famoso spot: "No Martini? No party"». Però gli ex-dc non si fanno illusioni, al massimo il Cavaliere ieri ci ha messo una pezza, a forza di rammendi una maggioranza non va lontano. Preoccupazione raccolta in alto loco: «Se perfino su una sciocchezza di Speroni è scoppiato l'incidente, con Berlusconi costretto a mediare, figuriamoci cosa potrà accadere quando dovremo accordarci su Senato delle regioni. Corte costituzionale e premierato forte...». E' questione, di giorni: non appena la maggioranza avrà superato lo scoglio del Dpef, il premier dovrà applicarsi al testo della Grande riforma. L'intenzione è di scriverla quanto prima, e mettere sulla verifica una pietra sopra. Se riuscirà a trovare l'accordo di tutti i partner, potrà considerarlo il suo massimo capolavoro. Anche perché gli alleati, nel frattempo, non rinunceranno a litigare tra loro. Oltre alle tante già sul tappeto, altre occasioni di scontro sono alle viste. Una in particolare si preannuncia piuttosto cruenta, poiché mette in gioco delle poltrone: il 21 giugno scorso sono scaduti i presidenti di commissione alla Camera (durano in carica due anni), a norma di regolamento andranno confermati tramite una nuova votazione fissata per il 31 luglio. Nonostante il caldo, a Montecitorio c'è chi apre l'ombrello: «Con il clima della maggioranza, ve li immaginate quelli di An che votano un presidente leghista, o viceversa?». II vicepremier Gianfranco Fini

Luoghi citati: Arcore, Francia, Gemonio, Roma, Villa San Martino