Con le pinne, LIBRO ed occhiali di Alberto Papuzzi

Con le pinne, LIBRO ed occhiali LE LETTURE ESTIVE DEGLI ITALIANI, LO STATO DI SALUTE DELL'EDITORIA: INTERVISTA CON GIAN ARTURO FERRARI, DIRETTORE DELLA MONDADORI Con le pinne, LIBRO ed occhiali Alberto Papuzzi TORINO ..T 'ESTATE, le vacanze sono "Jd un periodo in cui i tempi e le modalità di lettura cambiano totalmente. La lettura di libri è diversa da ogni altra forma di lettura, perché non può esaurirsi in una mandata unica. Leggere un libro è come entrare in una galleria, si entra da una parte e si esce dall'altra, comunque bisogna attraversarla tutta». Questa è la ragione, secondo Gian Arturo Ferrari, per cui in estate c'è più tempo per leggere. Ma quali generi, quali titoli? Cosa privilegiano i lettori estivi? Interrogativi di attualità per l'intervista con il direttore generale della Divisione libri di Mondadori (che comprende anche Einaudi, Electa, Sperling SKupfer e la Scolastica). Dottor Ferrari, allora, che cosa leggono gli italiani - d'estate? «È difficile dare una risposta unica. Sostanzialmente, intanto, quelli che leggono di più d'estate sono i ragazzini che vanno a scuola e che sono obbligati. Non è una cosa bellissima a dirsi ma è un fatto vero. Hanno letture estive consigliate dai loro professori. Quindi in generale d'estate si leggono molti classici; ma il pubblico che legge classici è prevalentemente fatto da ragazzini. Un po' più in là con gli anni, i giovani leggono prevalentemente comici. Che hanno cambiato proprio natura nel panorama italiano: fino a qualche tempo fa erano considerati un genere minore, erede del teatro di rivista. Invece ora abbiamo avuto prima la generazione legata ad Avanzi, poi quella legata a Zelig, quindi fenomeni singoli come la Littizzetto...». Parliamo della Mondadori: su quali libri avete deciso di puntare per l'estate, sia tra i best seller di consumo sia tra le opere di qualità? «Se il mondo fosse fatto in maniera tale che gli editori potessero imporre un libro, noi saremmo ben felici. Viceversa siamo infelici: perché non s'impone nulla. Posso citare i libri che mi piacciono. Mondadori pubblica un thriller di Foi-syth. Si chiama II veterano. È una lettura di evasione, secondo me, buonissima. Sempre Mondadori propone un libro di tipo diverso: il nostro amatoMiddZesexdiEugenides». Analizziamo l'orizzonte: di che salute gode l'editoria italiana? «Tra le editorie importanti al mondo, in termini quantitativi sia di mercato sia di produzione, quella americana sta molto male: ha un problema di esposizione fortissima per gli anticipi pagati agli autori. Ma è quella tedesca che sta peggio di tutte: fornisce un altissimo livello di servizio ma questo costa un sacco di soldi. Quanto a noi, l'anno scorso siamo andati tutti bene, non solo Mondadori, ma anche Rizzoli, Longanesi, Feltrinelli. Questo maggio abbiamo avuto un segno di flessione pesante. Io spero che non si stia profilando un rallentamento dei consumi come in altri paesi». Sino a una decina di anni fa si diceva che l'industria editoriale italiana è sottodimensionata. È un problema ancora attuale o le cose sono cambiate? «L'Italia ha un mercato molto piccolo: secondo una nostra recente ima ricerca, l'uno per cento degli italiani, vale a dire mezzo milione di persone, legge e acquista il 23 per cento dei libri venduti in Italia: un mercato iperconcentrato. Il numero dei lettori forti, quelli che leggono da undici libri in su all'anno, è minuscolo, elitario. Ma questa élite consuma più di quanto non consumino le élite negli altri paesi. Abbiamo una minoranza assolutamente ristretta di grandissimi lettori. La struttura è analoga a quella di quasi tutti gli altri consumi culturali. La cultura in Italia è di fatto elitaria. Un Paese molto verticistico, l'opposto dell'America». Da questo punto di vista, che tipo di interventi pubblici sarebbero auspicabili? «Il mio parere è che questa situazione è il portato di una lunghissima storia culturale. Quindi non sono possibili interventi messianici. Penso che si potrebbe agire concretamente su due punti. Il primo è la distribuzione. Gran parte degli squilibri dipendono dalla struttura distributiva. Un fenomeno significativo è che con i libri venduti congiuntamente ai quotidiani - il caso del 2002 - si è aumentato il mercato del 50 per cento: era 100, è diventato 150. Cosa vuol dire? Se i libri vengono portati in maniera capillare laddove possono essere comprati, la gente li compra. Il secondo aspetto che mi interessa rilevare è l'opportunità di incentivi alla vera e propria creazione intellettuale. Nel nostro paese gli scrittori di libri solo in pochissimi casi fanno gli scrittori di libri. Non esiste quasi la professione dello scrittore: quasi tutti sono giornalisti o comunque traggono il proprio sostentamento di base da un'altra parte, in più scrivono libri, è un'attività accessoria. Anche questo è imo dei punti di debolezza del nostro sistema». A proposito di interventi, abbiamo avuto a titolo sperimentale due anni di prezzi bloccati sullo sconto massimo del 15 per cento. Questa sperimentazione scadrà alla fine di settembre. Che cosa succederà? E qual è la sua valutazione? «Secondo la nostra ricerca il pubblico pensa che i libri siano cari. Pensa che i libri siano cari non come pensa che sia caro tutto, il ristorante, il cinema, le vacanze, ma perché più o meno consciamente ritiene che i libri sono un bene non commerciale. Annette al libro un valore che va al di là, è un bene in sé, un patrimonio di tutti. Paradossalmente è la valorizzazione del libro, la sua visione sacralizzata. Questo fa sì che il pubblico preferisca avere i libri scontati rispetto a qualsiasi altra forma di promozione. Non so che cosa succederà dopo la fine della sperimentazione. La mia impressione è che l'introduzione di un tetto massimo allo sconto non ha portato benefici significativi né ai librai, né agli editori. Personalmente io sono sfavorevole al tetto di sconto perché penso che in Italia l'esigenza primaria è quella di allargare la base di lettura. È questa una potente leva di marketing». Si è accennato alla vendita di libri con i quotidiani, un successo sorprendente. Per voi editori che cosa rappresenta: la scoperta di nuovi lettori? Una concorrenza che vi fa bene? Una svolta nelle vostre strategie? «Circa un milione di persone, che prima non comperavano libri, li hanno acquistati attraverso i giornali. Costoro erano già lettori, nel senso che esiste una parte consistente di lettori che non comprano. Un caso normale sono i figli che stanno in una casa piena di libri, non comprano ma li leggono. L'aspetto negativo è che la vita di un libro ha un arco molto lungo: abitualmente siamo portati a considerarne solo il primo tratto, cioè quando esce, se vende o non vende, se ha successo o non ha successo, se va in classifica, se funziona o no. Tutto questo si esaurisce in sei mesi, ma gli editori vivono non su quei sei mesi, vivono sugli anni che vengono dopo. Il libro ideale per un editore è il libro che vende per tutto il periodo in cui rimane vincolato dai diritti: esattamente 70 anni dopo la morte dell'autore. Considerando che l'autore medio produce per 30 anni di sua vita, quindi, è un secolo. Gli editori funzionano bene quando riescono ad avere più autori e più libri "secolari" di tutti gli altri. Allora, il problema tecnico per un editore è che queste operazioni tranciano l'ultima parte dell'arco di vita di un libro». Quali sono oggi le prospettive delle produzioni di tipo multimediale che qualche anno fa sembravano destinate a rivoluzionare il mercato editoriale? «L'e-book avrà un futuro di grande rilievo nell'education. Penso solamente cosa vuol dire avere su un unico supporto tutti i paratesti possibili, dizionari, enciclopedie, riferimenti, esercizi, possibilità di autocontrollare il proprio apprendimento. Questo è il futuro. Ancora lontanto. I tempi sono stati molto più lenti di quelli che si potessero mai prevedere». Lei è responsabile sia della Mondadori, la più grande casa editrice, sia dell'Einaudi, certo una delle più raffinate: come si tengono insieme due mondi che sembrano cosi diversi? «Nella ricerca di cui abbiamo parlato, abbiamo chiesto al campione di dare un punteggio agli editori su vari indici: popolare, raffinato, intellettuale, amichevole, moderno, giovane... Noi siamo in questa felice condizione, che abbiamo tutti i massimi e tutti i minimi, e sono capovolti, nel senso che dove Mondadori è il massimo, Einaudi è il minimo, oppure viceversa». Va bene, ma questo non spiega come si gestiscono managerialmente marchi così diversi come Mondadori, Einaudi o Sperling 8Kupfer... «Io sono, di mia origine, un vecchio redattore. Ho cominciato facendo il redattore all'Enciclopedia della Scienza e della Tecnica di Mondadori. Poi per molti anni ho lavorato alla Boringhieri, quindi ho fatto l'editor da Mondadori. Questo mestiere lo conosco, direi, dalle sue origini. Noi abbiamo cercato di dare alle nostre case editrici una parte di cose in comune e una parte di cose specifiche. Le cose specifiche sono principalmente le scelte editoriali, che noi lasciamo fare al personale delle case editrici senza alcune imposizione. Einaudi va per conto suo, Mondadori va per conto suo». Non mi dica che non le è mai capitato di decidere: questo va qui, questo va «Mai. Se noi incrinassimo questo equilibrio, faremmo una casa editrice sola con molte maschere. Invece vogliamo diverse facce. Mondadori è una casa editrice del ceto medio italiano: non diventerà né barricadera di sinistra né conservatrice di destra. Einaudi è la casa editrice dei sommi valori culturali e del profumo di sinistra: tale rimarrà. Mentre su un altro piano abbiamo attuato delle regole comuni: il rispetto per il risultato economico, nel senso che queste sono aziende che devono trovare il loro mercato, produrre i lori risultati, mantenere i propri dipendenti e produrre profitto per i proprietari. Inoltre ci sono valori di fondo, che vanno al di là delle identità specifiche. Cito in particolare il diritto d'autore, nel senso che noi crediamo negli autori e paghiamo anche gh autori, e un concetto attivo di libertà di stampa: nonostante la nostra proprietà e tutti i sospetti che genera, noi difendiamo il fatto che i nostri libri siano espressione di libertà. Questa è una cultura che direi da noi generalmente diffusa. Perciò non solo non abbiamo stravolto l'identità specifica dei nostri marchi ma abbiamo fatto il possibile per rafforzarla». «Secondo una nostra recente ricerca, l'I 07o delle persone acquista il 2307o dei volumi venduti in Italia. Da noi la cultura è di fatto elitaria: l'opposto dell'America» «La professione dello scrittore qui non esiste: quasi tutti sono giornalisti che in più scrivono libri Anche questo è uno dei punti di debolezza del nostro sistema» «Durante le vacanze I tempi e le modalità di lettura cambiano totalmente» dice li direttore generale della Divisione libri di Mondadori, Gian Arturo Ferrari (foto in alto) p,occhiali «Durante le vacanze I tempi e le modalità di lettura cambiano totalmente» dice li direttore generale della Divisione libri di Mondadori, Gian Arturo Ferrari (foto in alto)

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