«Delocalizzare è giusto ma non per risparmiare»

«Delocalizzare è giusto ma non per risparmiare» IL PRESIDENTE DELL'ASSOCIAZIONE INDUSTRIALI: FARE SQUADRA E' IMPORTANTE «Delocalizzare è giusto ma non per risparmiare» Massimo Calearo: aprire impianti produttivi nell'Europa dell'Est serve a conquistare nuovi mercati più che a ridurre il costo del lavoro Noi vicentini in Slovacchia siamo riusciti a clonare il nostro distretto intervista Flavia Podestà A Roma chiediamo che la smettano di litigare. Non è accettabile che i leader dei partiti della coalizione di governo incrocino le lame in difesa ciascuno del proprio orticello, senza tenere in conto gli interessi del Paese». Non sono gli incidenti diplomatici, che pure «sarebbe stato meglio evitare», a preoccupare gli industriali di Vicenza (la terza organizzazione territoriale della Confindustria) quanto le fibrillazioni della maggioranza. Lo dice senza giri di parole Massimo Calearo che, da pochi mesi, ha assunto la presidenza dell'associazione degli industriali della città del Palladio con l'obiettivo di dimostrare che il «modello Veneto» - e «quello vicentino in particolare» - che ha messo il turbo alla crescita del Nord Est per svariati anni può «continuare a funzionare come modello vincente, e persino essere esportato, con pochi aggiustamenti». Ma a patto che Roma «non si metta di traverso e non sprechi le rare occasioni che ci sono». Perché le sue parole non vengano equivocate il giovane presidente - che ha ottenuto anche la vice presidenza della Federmeccanica perché, per la prima volta, ha convinto i colleghi a fare squadra e a parlare con una sola voce quando in passato, se Treviso diceva «bianco», Vicenza rispondeva «nero» e Verona «verde», e il Veneto non contava nulla scende nel dettaglio. E spiega: «Il jolly che il nostro Paese ha in mano oggi è il semestre di presidenza dell'Ue. Si tratta di una matta che va spesa alla grande. Sul piano intemazionale «per far fare all'Europa nuovi progressi sul terreno dell'integrazione perché noi abbiamo bisogno di più Europa»: sul piano interno «perché è venuto il momento di passare dalla progettualità che il governo ha saputo dimostrare all'attuazione concreta dei progetti». Inutile dire che, in prima linea per una regione di frontiera strangolata dalla carenza di infrastrutture, ci sono il passante di Mestre, la Pedemontana, e il Corridoio 5 che «se dovesse andar perso a tutto vantaggio di quanti oggi hanno problemi maggiori dei nostri (legge la Germania, ndr) sarebbe un'autentica jattura perché spingerebbe l'Italia inesorabilmente verso il Mediterraneo, mentre noi vogliamo conquistare il nuovo cuore dell'Europa, che è poi il cuore antico della Mitteleuropa». Inutile chiedere a Calearo se il Belpaese ha davvero le capacità per gestiri alia grande il semestre europeo. A suo dire quelle capacità «le ha il presidente del consiglio Silvio Berlusconi che ha saputo riportare in primo piano l'Italia sulla scena intemazionale, intrecciando una serie di rapporti dagli Usa agli Urali, da primo attore e non più - come era successo sistematicamente in passato da semplice comparsa». Capacità che, per Calearo, possono essere annullate dalla «rissosit.à dei partiti». Calearo ha costruito le sue fortune imprenditoriali nell'universo che ruota attorno al mondo dell'auto. E' di fatti riuscito a trasformare l'aziendina costruita dai genitori per fabbricare campanelli per biciclette, nel più antico gruppo di imprese che producono antenne per auto, per il telefono sull'auto, per i sistemi di navigazione satellitari e tv. Una molteplicità di antenne riunite in un solo involucro, miniaturizzato e dotato di quel design tipico del made in Italy che ha permesso all'imprenditore Vicentino - titolare ormai di 6 aziende - di sbaragliare la concorrenza e di affermarsi come fornitore delle più prestigiose case automobilistiche: tedesche e giapponesi comprese. Stanco dei dubbi che da diversi pulpiti venivano sollevati sulla capacità del «modello Vicenza» di tenere la marcia che ne aveva fatto la fortuna e preoccupato dei continui rilievi mossi anche da alcuni vertici istituzionali - per esempio la Banca d'Italia e l'Antitrust - alle dimensioni troppo piccole delle imprese italiane, l'imprenditore si è posto la scommessa di dimostrare che «il Nord Est può continuare a far da volano alla crescita economica del Paese». Una delle prime mosse è stata quella di delocalizzare. L'avevano già fatto gli industriali di Treviso. «Ma il nostro modello è completamente diverso, perché noi abbiamo clonato il distretto con tutte le relazioni che vi intercorrono i supporti delle istituzioni di categoria alle spalle. Noi non abbiamo mandato all'estero le nostro imprese in ordine sparso. Soprattutto noi non abbiamo delocalizzato la nuova produzione - continuando a produrre in Italia dove abbiamo conservato tutta l'intelligenza dei nostri centri di ricerca - per spuntare qualche beneficio in termini di costo del lavoro. Quella è una strada perdente: specie verso i paesi che si apprestano a far parte dell'Ue perché i salari si adeguano in un paio di anni, al massimo». Perché avete delocalizzato voi? «Per conquistare nuovi mercati, visto che oggi non basta più esportare - arte in cui i vicentini eccellono da sempre - ma si deve essere vicini all'utente finale». Dove siete andati? «Abbiamo scelto la Slovacchia, e più esattamente Samorin, a 20 km da Bratislava: un centro a noi vicinissimo, collegato dall'autostrada, dove abbiamo trovato la massima collaborazione delle autorità locali che ci hanno messo a disposizione gratuitamente i terreni per le fabbriche e stanno organizzando corsi obbligatori di italiano dalle medie alle università. Noi ci siamo andati facendo sistema, convinti di poter esportare il nostro modello produttivo che è molto più vivibile di quello delle multinazionali alle quali il profitto non basta mai e pertanto si muovono con logiche di breve periodo che non offrono garanzie a nessuno». Voi siete diversi? «Indubbiamente siamo diversi. Sarà che molti di noi cinquant'anni fa avevano le pezze ai pantaloni, sta di fatto che non nessuno ha dimenticato cosa vuol dire lavorare in fabbri- ca e c'è grande attenzione alla valorizzazione delle loro ma estranze. I nostri imprenditori sono individualisti fuori dalla fabbrica ma fanno squadra dentro l'azienda do ve condividono scommesse e problemi con i loro dipendenti. Specie se trovano rispondenza». L'hanno trovata in Slovacchia? «Non c'è dubbio. Abbiamo trovato maestranze e tecnici preparatissimi perché nella regione è diffusa una micromeccanica di qualità; la disponibilità di buone scuole e di università eccellenti; una cultura e una religione che sono le nostre e che aiutano nel diffondere un comu¬ ne modo di sentire». E' sbagliato dire che, per perpetuare il successo del vostro modello produttivo, conta fare sistema, ma conta anche l'allargamento dell'Ue ai Paesi dell'Est? «No, non sbaglia. Tutto ci avvicina a quel mondo e non capisco il timore di alcune aree della nostra imprenditoria per le new entry: quei mercati sono essenziali per noi e ci attrezziamo a farli crescere portandovi lavoro e poi a giocarvi un ruolo importante, che altrimenti lasceremmo a tedeschi e francesi». Lei ammette che da voi abbondano i solisti. «Non c'è dubbio ma il mio compito è di fame un'orchestra, altrimenti non si conta nulla. Siamo riusciti a vincere i personalismi quando - con le associazioni di Verona, Belluno e Rovigo, con NeaFidi e con Unicredito Italiano - abbiamo dato vita ai bond per finanziare le piccole imprese. Cercheremo ora, a livello di associazione industriali, di mettere insieme 100, 1000 imprese su progetti comuni, per sconfiggere le limitazioni della dimensione che con buona pace di chi ce lo ricorda quasi mensilmente non si cancellano nemmeno in dieci anni. Se, per esempio, sono tante imprese o un intero distretto, con il supporto dell'associazione industriali e della Camera di Commercio (quella di Vicenza è particolarmente forte) che si mettono a studiare i problemi delle nanotecnologie, stia certa che al risultato ci si arriva». Questo è possibile solo se nell'area e diffusa la propensione alla ricerca e all'innovazione. «Da noi è così. Sono davvero stanco della favola che le imprese italiane non innovano. Io lo faccio altrimenti non avrei per clienti le case automobilistiche più prestigiose. Nella mia azienda il contro ricerche occupa 4000 metri quadri e dispongono di ingegneri che lavorano presso le migliori università e i centri di eccellenza in Usa e in mezza Europa. Ma io non sono che uno dei tanti. Uno dei due obiettivi della mia presidenza (l'altro è quello di far emergere l'impegno dell'impresa vicentina nella Corporate social responsibility) è di portare alla luce - con un'analisi documentata - la quantità di ricerca e innovazione che si compie da noi. Voglio mostrare quei dati a Berlusconi, e chiedergli se ha senso che su quegli investimenti si paghino le tasse». Lei ha detto di desiderare più Europa. Perché? «Perché un'Europa più forte, coesa e affidabile può svolgere un ruolo essenziale nel governo della globalizzazione che così come è stata realizzata dalle multinazionali (essenzialmente americane) non solo non piace a noi, ma rischia di avere reazioni dirompenti». Sa che anche il commissario Uè Mario Monti ritiene che ci sia uno spazio crescente per l'Europa sulla scacchiere internazionale, per correggere il tiro della politica mondiale? «Me lo dice lei, ma sono soddisfatto che sia così. So benissimo che la globalizzazione è un processo irreversibile ma se non sapremo attribuirle1 tratti da volto umano, i danni alla fine saranno maggiori delle opportunità». Il sistema confindustriale, tra pochi mesi, dovrà misurarsi sul rinnovo della presidenza. Lei ha delle i dee? «Non le faccio dei nomi, ma cerco di tratteggiare un identikit. Innanzitutto ci vuole un imprenditore e non qualche boiardo di Stato più o meno mascherato. Non è necessario un imprenditore grandissimo: del resto gli imprenditori davvero grandi scarseggiano. Però abbiamo bisogno di un nome noto, di un personaggio carismatico che conosca bene l'Europa e i mercati intemazionali e vi sia conosciuto. Un imprenditore che abbia costruito le sue fortune sul mercato e non grazie alle protezioni politiche:. Un imprenditore che conosca la macchina e, dunque, abbia già fatto esperienza di vita associativa: e che si impegni ad essere il presidente di tutti, privilegiando ciò che unisce su quello che divide. Tra gli imprenditori italiani ci sono persone con queste carature: vanno scelte, senza timori per il cambiamento. Confindustria non è una monarchia, dove i vertici si perpetuano per cooptazione. L'ultimo presidente è stato espressione del Mezzogiorno, il \. ; ossimo va pescato altrove». ófoljjjL ASavohn, "" abbiamo trovato la massima collaborazione delle autorità locali Noi ci siamo andati facendo sistema, convinti di poter esportare un modello produttivo molto più vivibile di quello delle multinazionali che non danno garanzie e puntano solo a far profitti 99 ^fe^ Oggi non basta più "™ esportare, arte in cui Vicenza da sempre eccelle, ma si deve essere vicini ali'utente finale Non bisogna temere l'allargamento all'Est: per noi si tratta di mercati essenziali che dobbiamo far crescere per evitare di lasciarli a francesi e tedeschi 99 MPORTANTE Massimo Calearo visto da Ettore Viola ^fe^"™in cueccevicinNonl'allasi trache per a fraca e c'è grande attenzione alla valorizzazione delle loro ma estranze. 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