Il bottino? Forse è nascosto a Torino di Massimo Numa
Il bottino? Forse è nascosto a Torino Il bottino? Forse è nascosto a Torino Uno dei figli del boss indagato dalla magistratura per ricettazione Massimo Numa Dov'è il bottino del colpo del secolo? Sepolto. Dove? In Italia, forse nel Torinese. Lo dicono i poliziotti della squadra mobile che da qualche giorno hanno ripreso a lavorare con rinnovato vigore su questo caso, seguito dalle polizie di mezzo mondo. Tengono d'occhio un paio di persone; magari si teme siano sul punto di partire per le vacanze senza avvertire gli «amici» della questura che tanto si preoccupano per loro. Sarebbe uno sgarbo non da poco, soprattutto per gli alti, biondi e paUidi poliziotti del commissario Erik Sack, già innamorati della Mole e per gli uomini dell'Antirapine del commissario Luigi Mitola. La magistratura belga intanto ha indagato Marco, uno dei figli di Leonardo Notarbartolo. Accusa: ricettazione. Tutta colpa di un piccolo diamante grezzo imprigionato in un blister numerato. Alla fine di febbraio, pochi giorni dopo il furto nel caveau del Diamond Center, nella cassaforte della villetta di mattoni rossi di Trana, il vecequestore Marco Martino, trovò appunto la «smoking gun» della notte magica al De. Quasi per caso. Il vicequestore è un tipo previdente e all'improvviso gli venne in mente di far fotografare quello ed altri gioielli trovati a Trana. E fece bene. Perchè i diamanti sparirono. Venduti, raccontarono serafici, tempo dopo, i Notarbartolo Junior. Venduti a intermediari che neppure conoscevano. Gente del giro. Punto e basta. Grazie alle fotografie della Scientifica, è partita l'accusa del giudi- ce belga. Perchè uno dei diamanti proveniva dal caveau di Anversa. Procedono le rogatorie internazionali, con le perquisizioni e gli interrogatori, coordinati dal gip Diamante Minucci. In questa storia che più passa il tempo, più sembra lo screenplay di un film, appaiono e scompaiono le ombre dei grandi ladri, degli specialisti di serrature, sistemi d'allarme e cassaforti, della mala torinese. Li tengono d'occhio da mesi. Soprattutto quelli da sempre più vicini al «caro» Leo, quel Notarbartolo che aveva scelto di vivere ad Anversa per fare il manager della società «Preciosa», casella numero 164, proprio nel cuore del Diamond Center. Una delle poche a non essere sventrate dagli «estrattori» costruiti in una polverosa bottega da fabbro localizzata nel quartiere di San Paolo. Costruiti da un signore dalle mani d'oro. Un genio. Leo aveva un alloggio, in un modesto fabbricato nel ghetto ebraico della vecchia Anversa, dove i marciapiedi sono divisi in due, da una parte i pedoni, dall'altra le bici lanciate come razzi. Ma i gioielli rubati erano a Trana. Sulle tracce dei Notarbartolo (difesi dall'avvocato Basilio Foti) ci sono, in ordine: i poliziotti belgi, l'intera squadra mobile di Torino guidata da Claudio Cracovia, che ormai sta quasi imparando il fiammingo e dal suo vice, Sergio Molino. Seguono gli investigatori privati delle assicurazioni dei Lloyd's, quasi tutti ex di Scotland Yard, più volte a Torino in questi mesi e, buoni ultimi, i «cacciatori di teste» arruolati da alcuni dei commercianti del De, decisi a farsi giustizia da soli contro gli «italiens». Sono i più pericolosi e vogliono la taglia. La cella di Anversa, per Notarbartolo, è il posto più sicuro. s L'awocato Basilio Foti
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