SGUARDI SELVAGGI

SGUARDI SELVAGGI KAFKA SPETTATORE CINEMATOGRAFICO SGUARDI SELVAGGI Edoardo Bruno SI è parlato in questi giorni, al convegno della Milanesiana, di Kafka e il cinema e si è messo in risalto sopratutto l'elemento allucinatorio, che si ritrova in Kafka nelle pagine di America, come consustanziale al cinema di allora e, vorrei aggiungere, a ciò che sarebbe diventato nella visione ipnotica di una moderna reverie. A questo proposito sarebbe interessante rileggere l'analisi sui gusti di Kafka - spettatore cinematografico - che Hans Zischler ha condotto nel libro Kafi-.a al cinema, solo di recente pubblicato in America dalla University Chicago press, ma che in Italia è stato pubblicato da Einaudi come Premio «Filmcritica-Umberto Barbaro», nel 1997. In quel libro, documentato da giudizi espressi da Kafka a voce all'amico Max Brod e, in varie lettere alla fidanzata Felice Bauer, l'interesse per il cinema, ha una rilevanza notevole, per le osservazioni critiche sui singoli film, visti attorno agli anni 1912-13- Kafka già allora privilegiava il «cinema primitivo», in contrasto con le nuove tendenze affioranti del film d'arte, con attori di teatro di grande rilevanza, «una forma di teatro di cui il cinema non ha proprio bisogno» che tendevano a mutare il gusto stesso dello spettatore. Kafka avvertiva, nelle lettere a Felice, chequesta nuova forma intellettualizzata, avrebbe segnato la perdita in maniera inequivocabile, di una forma espressiva, come il cinema, unica nel suo genere, per quella spontaneità, conservata anche nelle forme tradizionali, dal melodramma alle comiche, «selvaggia ed anarchica», legata a «quei volti anonimi, venuti da chissà dove - artisti di circo, o di piazza - che corrispondevano all'innamorato, al mascalzone, al comico». Osservando, nell'atrio del teatro-cinematografo dove si trovava con Max Brod, le fotografie del film L'altro, interpretato dal celebre attore scespiriano Albert Bassermann, reclamizzato come la «futura arte del cinema», Kafka ne notava l'artificialità e la poca naturalezza dei gesti presi a prestito dal teatro, mentre valorizzava l'effetto allucinatorio che quelle foto generavano per la loro immobilità e il loro carattere di simulacro. Come confesserà più tardi nei Diari, nel cinema, paradossalmente, è proprio il movimento delle immagini che lo irrita, e «il desiderio è quello di tenerle ferme», come forme mentali, all'interno di un'allucinazione. Nel periodo in cui scriveva le lettere a Felice, Kafka aveva iniziato la stesura de ll disperso (che diverrà America), dove la ingenuità, la verginità della visione delle strade inventate di New York, ricordano l'immobilità di certi dagherrotipi e ripetono quel «tener ferme» le immagini mai confrontate con la realtà, in un tumultuoso iperrealismo fantastico, concluso all'ippodromo di Clayton nel grande teatro di Oklahoma.

Luoghi citati: America, Italia, New York