Tribunali, le indagini incrociate

Tribunali, le indagini incrociate COME RACCOGLIERE PROVE E TESTIMONIANZE DURANTE I PROCESSI Tribunali, le indagini incrociate Mario Chiavarlo NON dire falsa testimonianza». Nel Decalogo il comandamento viene letto anzitutto come impegno, di carattere generale, alla coerenza con un valore - il Vero - che è tra gli attributi stessi di Dio; ma è poi proprio nella sua forma letteralmente più aderente allo stretto rapporto con le deposizioni davanti all'autorità giudiziaria, che esso trova poi riscontro nei codici penali, a tutela della genuinità delle prove che si raccolgono in giudizio. Al di là dell'universale sentimento di riprovazione morale e dell'altrettanto universale repressione penale che certi comportamenti si attirano, il problema della testimonianza - e in particolare del come fare per garantirne al meglio la veridicità - appare comunque, oggi come ieri, d'importanza centrale per un funzionamento accettabile dei processi, rimanendo tuttavia di difficilissima soluzione. E l'interesse con cui si guarda a queste tematiche, non solo da parte dei giuristi, è dimostrato anche da una serie di recenti pubblicazioni. Di una di esse è autore Guglielmo Gulotta, avvocato penalista e docente universitario di psicologia giuridica nell'Ateneo torinese. Essa rappresenta la rielaborazione di conferenze in larga parte dedicate alla «cross-examination», vale a dire a quella tecnica che con il vigente, codice di procedura penale è stata introdotta anche in Italia per dare ad accusa e difesa la possibilità di realizzare, attraverso e domande e le contestazioni da esse stesse formulate ai testimoni (cosi come, del resto, a periti e consulenti tecnici), una formazione dialettica della prova. Strumento dai molti chiaroscuri, si scandisce in tre momenti fondamentali - l'esame diretto del teste, gestito da chi ne ha chiesto l'ascolto; il controesame condotto dalla parte avversa («cross-examination» in senso stretto); l'eventuale riesame ad opera del primo - con possibilità di integrazioni da parte del giudice che dirige il dibattimento : qui esso viene presentato soprattutto nelle sue risorse (ma anche nei suoi possibili contraccolpi) in rapporto a determinate strategie difensive. Scritte per intero «al femminile», altre due opere, volte a scandagliare a tutto campo potenzialità e limiti degli apporti che si chiedono a un teste (qui inteso nella sua più ampia e generica accezione, quale persona che in una qualsiasi fase di un procedimento penale ha qualcosa da narrare su ciò che ha visto o udito, e non solo, com'è nella rigorosa terminologia del nostro codice di procedura, quale soggetto chiamato a deporre davanti al giudice): la prima, curata da Anna Mestitz, dirigente di ricerca presso il bolognese Istituto del C.N.R. sui sistemi giudiziari, raccoglie vari contributi concentrati nell'area della psicologia dei minorenni e già nel titolo sintetizza, attraverso tre verbi di immediata percezione («chiedere, rispondere e ricordare»), la scansione degb oneri che si pongono ai diversi protagonisti di un esame testimoniale; la seconda, dovuta a Giuliana Mazzoni, che insegna psicologia nella Seton Hall University del New Jersey, si muove in un ambito più generale (sebbene abbia pure qui notevole rilievo la tematica dei testimoni-bambini) e ancor più emblematicamente esprime a sua volta nel titolo un interrogativo di fondo: «si può credere a un testimone?». Alla base della prima indagine una serie di esperienze e di ricerche condotte, oltre che in Italia, in Paesi solitamente considerati all'avanguardia nel settore (Gran Bretagna e Stati uniti): in evidenza, le tecniche adottate da magistrati e poliziotti nei colloqui diretti a raccogliere il «sapere» dei minorenni, e, correlativamente, gb effetti del coinvolgimento, nel sistema giudiziario, di bambini, specialmente - ma non solo - quando siano essi stessi vittime di reati (in particolare di pedofilia e di abuso sessuale). Nelle conclusioni si fa largo spazio a considerazioni sulla recente vicenda del «delitto di Cogne» e sulla doppia deposizione richiesta, con un intervallo di circa sei mesi, al fratellino del piccolo Samuele, ferocemente assassinato; ma soprattutto si pone l'accento sull'ausilio che un maggior uso delle tecnologie audio e video per verbalizzare i colloqui con i minorenni potrebbe recare, dal punto di vista dell'oggettività delle registrazioni e del rispetto dei diritti della difesa, e anche al fine di evitare ripetizioni di interrogatori, che possono essere sconvolgenti per una personalità ancora tutta in formazione. Volutamente scarne, invece, le conclusioni del lavoro della Mazzoni, che al termine della sua fatica preferisce limitarsi a riassumere i motivi per cui si è indotta a scrivere, nella convinzione che «anni di lavoro sui problemi della memoria e sulle tecniche di intervista» le abbiano permesso di «mettere a disposizione del pubblico itahano alcune elementi di fondo per capire che cosa accade quando un testimone racconta la sua esperienza». Non manca, semmai, anche nelle poche righe finali, un cenno critico alla ((tendenza al pressapochismo» e alTuapprossimazione» che caratterizzerebbero «questo delicato settore dell'intervento pubbUco»: cenno critico che d'altronde riassume giudizi severi, più ampiamente sviluppati nel corso della trattazione, sino alla definizione di «gran parte della psicologia giuridica» come «il selvaggio west, in cui la legge del più forte o del più furbo prevale». Lasciando all'autrice tutta la responsabilità di queste graffianti censure, e ai destinatari la più ampia facoltà di dimostrazione del contrario, è opportuno sottolineare che l'interesse dell'opera sta comunque altrove e più precisamente nella messe di riferimenti a casi e situazioni ben determinate, per avvalorare un monito, forse non del tutto medito ma sempre opportunamente ribadito, a considerare la nostra memoria non come «una fotografia esatta di quanto è accaduto», ma come «una ricostruzione che può essere influenzata dalle nostre conoscenze, dal contesto, dalla volontà di compiacere chi ci interroga, dal modo con cui sono poste le domande, dall'autorevolezza di chi le fa, per non parlare dei metodi coercitivi talvolta usati dalla polizia o della menzogna vera e propria». Monito sicuramente sempre valido e opportuno, tanto più quando si unisca a suggerimenti perché legislatori e operatori, consapevoli di tutti i possibib fattori inquinanti, si adoperino per neutralizzame o ridurne l'incidenza. Altra cosa sarebbe se da moniti come questi uscisse soltanto la sconfortante conclusione dell'inutibtà di ogni sforzo per far sì che il «sapere» di chi ha assistito a certi fatti non venga disperso, ai fini di chiarire se una persona è innocente o colpevole. Sacrosanto, per le scienze anche per quelle scienze umane, che si muovono su terreni particolarmente scivolosi - porre in guardia contro le false certezze. Meno apprezzabile il limitarsi a seminare dei dubbi. :- --r:-:-.--..

Persone citate: Anna Mestitz, Giuliana Mazzoni, Guglielmo Gulotta, Mario Chiavarlo, Mazzoni

Luoghi citati: Cogne, Gran Bretagna, Italia, New Jersey, Stati Uniti