Fallisce la «stanza dei bottoni» della Dolitica Dostmoderna di Filippo Ceccarelli

Fallisce la «stanza dei bottoni» della Dolitica Dostmoderna IL NOME TECNOLOGICO RENDE PERSINO PIÙ INGLORIOSA LA FINE DI CIÒ CHE NON È MAI INIZIATO Fallisce la «stanza dei bottoni» della Dolitica Dostmoderna L'organismo affidato ad An era un simulacro: e ha confuso realtà e finzione analisi Filippo Ceccarelli ROMA MA che bisogno c'era di chiamarla, enfaticamente, «Cabina di Regia»? La presunzione del nome, quel non so che di tecnologico e televisivo accentua e rilancia l'ingloriosa fine. E' il dileggio, ormai, della cabina di regia: «Smontata prima ancora di averla montata» (Fassino); «si è molto ristretta e assomiglia sempre più a una cabina telefonica da cui tutti entrano ed escono» (Angius); «al primo ciak non si sono presentati gli attori» (D'Alema). Ma anche questo coro di irrisione fa parte degli effetti speciali: perché non solo è morta, la cabina di regia, ma non è mai esistita. Neanche un minuto. Cos' con tutta probabilità senza rendersene conto, dopo pranzo il ministro Giovanardi si è lasciato risucchiare in ima disput? metafisica tra l'essere e il non essere: «La cabina di regia non c'era già più - ha spiegato apparteneva a un passaggio precedente». L'oscurità di questo precedente passaggio è parsa per un attimo richiamare certe invero complesse elaborazioni di Baudrillard sull'eclisse del reale nella società post-modema. Eppure di cabina di regia avevano a lungo discettato, nei giorni scorsi, i massimi responsabili del governo. Bene: si è capito ieri che era un simulacro, pura apparenza, vana speranza, una creazione del tutto immaginaria. Del resto, le risorse o gli espedienti della politica contemporanea non sono mica infallibili. Si trattava di accontentare An, e per questo si pensò conseguentemente di trasformare - a uso e consumo deir«mfonnazione» - una umile commissione in qualcosa di specialissimo. Quindi guai a chiamarla «tavolo», o «coordinamento», o «super-coordinaraento». No: cabina di regia. Ah, che bello, e che contentezza per Fini e i cittadini! Ora sì che la verifica sarebbe andata a lieto fine. E cabina fu: con consolle, tanti vetri, schermi colorati, cuffie auricolari da dj e dispositivi per il mixaggio. A conti fatti, la deriva tecnologica della video-politica si tira appresso un che di onirico, ma anche d'infantile. Per cui ieri, al risveglio, è apparso chiaro che questa benedetta cabina di sogno era svanita, o meglio c'era ancora, ma come non-luogo, ad uso e consumo dell'odierna vita pubblica. Un'entità meta-illusoria, si direbbe. Nemmeno più un set, né una location televisiva come i castelli, i conventi, i pullman, le navi da crociera elettorale, le città berlusconiane di cartapesta in stile rinascimentale (Genova) o antico romano (Pratica di Mare). Ma qualcosa di più compiuto, ormai, sulla via dell'ambiguità. Qualcosa di cui si parla, ma che non c'è, non c'è mai stata, né può esserci (anche se An andava accontentata, la Lega pure e gli udc non ne parliamo). L'inevitabile disvelamento è a suo modo istruttivo: sempre più i leader politici vivono di finzioni, sempre più esercitano la loro indispensabile funzione in una zona grigia dove spettacolo e realtà, verità e artificio si vengono a confondere. Neanche a farlo apposta, mentre a Montecitorio si scopriva l'inesistenza della cabina di regia il presidente Berlusconi s'intratteneva a Positano nella villa di un vero regista, Zeffirelh. D'Alema non ha saputo resistere: «E' andato a scritturarlo» ha detto. E il ritardo del Dpef? «Fa parte dello stesso copione». Ora, sarà anche per deforma¬ tornano, perché analizzato con i vecchi parametri della politica (a cominciare dalle categorie di destra e sinistra), lo scontro di ieri appariva non solo indecifrabile, ma anche abbastanza assurdo. Né, francamente, contribuiva a riempirlo di contenuti il presidente del Consigho quando diceva: «Ho lasciato che i ragazzi si sfogassero». Il linguaggio del potere è sempre rivelatore, tanto più in situazioni imbarazzanti. E cosi si ritorna al quesito iniziale: che bisogno c'era di battezzarla cabina di regia? L'onorevole Giaretta, della Margherita, ha ritenuto di indi /iduare in quella «pessima trovata gli espedienti più infelici della Prima Repubblica». Ma non è tanto vero. Quando, al varo del centrosinistra, il vecchio Nenni stava per entrare a Palazzo Chigi individuò nella «stanza dei bottoni» il centro del centro del comando. Vent'anni dopo Craxi ebbe a confessare che la stanza c'era, ma non aveva trovato bottoni di sorta. Ecco, ancora vent'anni e l'etema illusione ha commutato la stanza dei bottoni nella cabina di regia. Segno che il potere, oggi, consiste nel mostrare, o nel suo contrario, cioè nel nascondere. Era un po' che i politici la invocavano, con lo stesso entusiamo un tantino pappagallesco con cui invocano la «task-force». Sul federalismo, sull'articolo 18, sull'immigrazione, sui problemi dello smog, sui guai degli italiani in Argentina, sul digitale terrestre. Dateci ima cabina di regia, dicevano. E a Fini gliel'hanno data sul serio. O per finta, che oggi è quasi lo stesso. A forza di creare immagini, infatti, se ne resta prigionieri. Come quel sovrano cinese che un giorno ordinò di cancellare dal muro della sua stanza il dipinto di una fontana perché la notte non riusciva a dormire per il rumore. L'irrisione diventa effetto speciale: «smontata prima di averla montata», «somiglia a una cabina telefonica da cui tutti entrano ed escono», «al primo ciak, niente attori» zione spettacolare che si colgono certi segnali, ma il 26 giugno il Cavaliere ha esordito, nel suo discorso di presentazione del semestre Uè alle Camere, esortando a distinguere fra teatro e realtà. Il giorno dopo il presidente della Camera Casini ha richiamato il rischio di vivere «in preda a un teatrino politico». Il 4 luglio Cossiga ha perfezionato l'immagine: «Una grottesca imitazione del teatrino della Prima Repubblica». Il 7 Rutelli è stato più sbrigativo: «Un orrido teatrino». Ieri Cossiga è tornato sul concetto: «Penso che si tratti di spettacolo». E qui almeno un po' i conti

Luoghi citati: Argentina, Genova, Positano, Rende, Roma