Amato e Ramos Morta, dialoghi globa

Amato e Ramos Morta, dialoghi globa A SAN ROSSORE UN THINKì USTA. CON UNA DOMANDA: ESISTE LA «GUERRA GIUSTA»? Amato e Ramos Morta, dialoghi globa Jacopo lacoboni LA pace si difende facendo funzionare la Corte penale Intemazionale o spendendo (è la cifra stanziata dagli Usa nel 2003, fonte: Center for Defense Information) 396 miliardi di dollari l'anno per comprare armi? Credete di più alla teoria dell'effetto domino di Washington o alla virtù della persuasione in cui spera Venere, alias Parigi-Berlino? Nell'epoca della prima guerra globale è meglio la legge della forza o la forza della legge? E in definitiva, nel mondo grande e terribile del 2003 la guerra è sempre sbagliata? Se potete, andate a sentire come risponderebbero Giuliano Amato e José Ramos Horta. Potrà apparire bizzarro che questi dialoghi sulla globalizzazione svolti da una sinistra riformista, il vicepresidente della Convenzione e il Premio Nobel per la pace oltre che ministro degli Esteri a Timor Est, avvengano durante gli incontri di San Rossore organizzati dal «govematore-no global», il presidente diessino della Toscana Claudio Martini. In realtà, più che il «meeting no global». San Rossore è diventato semplicemente im luogo di sperimentazione nella sinistra globale. Da anni ti può capitare di incontrarci santoni tipo il compianto Ivan Illich o statisti come Yitzhàk Rahin, e insomma, se qualcosa è un think tank della sinistra tout court, quel bosco toscano lo è. Del genere di «Aspe- nia», di «Italianieuropei», della «Fondazione Di Vittorio», magari di «Giustizia e libertà». Cos'hanno in comune? Tutti, più o meno, vorrebbero indicare una via riformista a una gauche italiana (ed europea) da costruire; tutti si trovano prima o poi a incontrare, a volte a sfidarla magari succhiandone i temi mighori, una sinistra radicale. San Rossore, forse, è il «serbatoio» più specializzato in materia: appassionato di pohtica estera e grandi questioni, ama gli accostamenti arditi, per esempio far discutere di massimi si¬ stemi politici navigatissimi nella politique politicienne, oppure chiamare personaggi semiascetìci a confrontarsi con la difficile arte del possibile. È vero che anche quest'anno (data: 15 e 16 luglio) nella tenuta nel bosco si incontrerà una buona fetta di cricca no global mondiale (da Edward Goldsmith a Samir Amin, da Riccardo Petrella al deputato democratico, americano JohnBrademas). Però è innegabile che il piatto più saporito è il tentativo di rispondere a domande come quelle sopra abbozzate, sul presunto conflitto Islam-Occiden¬ te, la frattura Usa-Europa, i movimenti diventati, come ha scritto New York Times, «la seconde superpotenza globale»... E allora: è casuale che il dottor Sottile discuta nella sessione sulla pace assieme a Ramos Horta, un Nobel per la pace che (esattamente come il collega Ebe Wiesel) ha considerato necessaria, a volte, la guerra, per esempio la guerra all'Iraq? E ancora: è casuale predisporre una sessione sul Medio Oriente in cui decisivi attori arabi (un nome su tutti: il principe di Giordania El Hassan Bin Talal) si troveranno a confronto con intellettuali eccentrici come Sari Nusseibeh, un palestinese che anziché scagliare le pietre dell'intifada permanente s'è battuto, antesignano, per il dialogo con Israele? E che avrà da dire, non solo sui conflitti globali ma anche su un conflitto in particolare, l'ambasciatore d'Italia in Iran Riccardo Sessa, testimone di rivolte studentesche e del bivio di Teheran tra riformismo e integralismo? Il 9 luglio, mercoledì prossimo, la sinistra riformista italiana sfilerà idealmente accanto agli studenti iraniani in lotta per la conquista di una dura e difficile democrazia. A San Rossore, qualche giorno dopo, la sinistra riformista italiana e globale proverà a indicare che nel mondo grande e tembile del 2003 - a Kabul, Baghdad, Teheran come a New York e Roma - la guerra va evitata, ma la pace a volte si deve conquistare. II vicepresidente della Convenzione europea. Giuliano Amato