Muore nel container della speranza di Massimiliano Peggio

Muore nel container della speranza DRAMMA DELtf IMMiGRAZiONE Muore nel container della speranza Afghano trovato cadavere nell'interporto di Orbassano Massimiliano Peggio Lo hanno trovato in un container navale, disteso con le mani sotto la testa, come se fosse addormentato. Accanto uno zainetto scuro di tela, con una maglia, una vecchia foto, un documento ingiaUito e gli avanzi di un pranzo. E' morto asfissiato, prigioniero di una bara di ferro, che ha attraversato il Mediterraneo in nave, poi l'Italia in treno fino alle porte di Torino, spedito ad una delle tante aziende di logistica che si trovano nell'interporto Sito di Orbassano. Si chiamava Ahmad Horami, 35 anni, era nato a Karam, in Afghanistan. La sua storia è un altra tragedia dell'immigrazione: un viaggio pagato a caro prezzo, il suo, a suon di dollari, alle organizzazioni criminali che controllano gli esodi della speranza, dall'Oriente all'Europa. O forse ha fatto tutto da solo, scegliendo il viaggio sbagliato, nascondendosi nel primo container a portata di mano. Il suo corpo era già in avanzato stato di decomposizione: secondo i primi riscontri del medico legale di Orbassano, la morte risalirebbe a sei o sette giorni fa. Un periodo di tempo che coincide con il tragitto effettuato dal container: lungo, stretto e poco più alto di un metro, chiuso quasi ermeticamente. Il 28 giugno scorso, il contenitore di metallo è partito dal porto di Patrasso, in Grecia, nella stiva della nave merci «Sabrina», in rotta per Brindisi. La nave non fa scali, resta in mare per due giorni. Il 30 giugno approda al porto pugliese, dove il container viene scaricato e sistemato su un convoglio ferroviario in partenza per il Piemonte. Il viaggio prosegue per un giorno intero, sotto il sole, fino a Torino. Nella serata del primo luglio il treno viene parcheggiato sui binari dello scalo intermodale di Orbassano, in attesa dello smistamento dei contenitori alle aziende di logistica. Ci resta per due giorni, nessuno si accorge di nulla. Il cassone di metallo, con il coperchio ripiegato su se stesso, staziona lì fino a ieri, quando finalmente viene recapitato al destinatario, la ditta «Eurora». L'azienda si trova alle spalle dello scalo ferroviario, proprio a due passi dalla rete di binari. Il corpo è stato scoperto intomo alle 18, da un dipendente della ditta, attirato dal forte odore della came in decomposizione. «C'era un odore nauseabondo, è bastato alzare il coperchio per scovare il cadavere, rannicchiato nel fondo. Una scena terribile: abbiamo subito chiamato i carabinieri», ha raccontato agli investigatori della caserma di Orbassano. Un caso senza misteri, questo, fin dal primo momento. Una tragedia, nient'altro. Ma certamente la sua morte è stata lenta, tra mille agonie. La man¬ canza di ossigeno, il caldo opprimente, nessuno a cui chiedere aiuto. Stroncato dalla speranza di una vita migliore. Ma chissà quale sogno inseguiva Ahmad, per sfuggire al suo villaggio natale di Karam, non lontano da Jalalabad. Un luogo sperduto tra le alture afghane, diventato tristemente famoso per un'altra data, quella dell'11 ottobre 2001, quando le bombe americane a caccia delle basi terroristiche di Al Qaeda, uccisero per errore 200 civili. Chissà se quei missili avevano segnato la vita di Ahmad, o quella della sua famiglia. Due anni dopo lui tenta di raggiungere l'Europa dentro uno scatolone di ferro, dove l'aria non filtra e dove non c'è nemmeno lo spazio per muoversi. Forse si è intrufolato nel porto di Patrasso approfittando del via vai infernale di merci, tra camion in partenza e navi in arrivo. Un viaggio verso la morte. Italia, ultima meta. Il contenitore era partito dal porto di Patrasso il 28 giugno, arrivato a Brindisi due giorni dopo era stato caricato sul treno diretto a Torino Asfissiato forse nel sonno poco dopo la partenza prigioniero in quella bara di ferro bollente senza aria né acqua Il piazzale della ditta Eurora dove in un container è stato trovato il corpo senza vita ed ormai quasi in decomposizione di Ahmad Horami

Persone citate: Ahmad Horami, Karam