Marx in testa
Marx in testa Marx in testa miti della «classe» e della rivoluzione Pubblichiamo un brano dal Prologo di Aldo Grandi al volume La generazione degli anni perduti. Storie di Potere Operaio in uscita da Einaudi, nella collana Gli struzzi Aldo Grandi E' RANO ragazzi appartenenti a fa' raiglie piccolo e medio-borghesi, talvolta perfino aristocratiche, che non sopportavano l'ingiustizia, il sopruso e lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Erano stati mossi, sull'onda emotiva di un processo evolutivo su scala mondiale, dal desiderio di incidere sulla società in cui vivevano, di conoscerne i meccanismi di sviluppo, di smascherarne l'ipocrisia. Si erano affollati ai cancelli delle fabbriche - da Torino a Milano, da Porto Marghera a Bologna, da Firenze a Roma, da Gela a Porto Torres - studiando l'organizzazione del lavoro, le mansioni, le buste paga e cercando di convincere gli operai a chiedere «più soldi e meno lavoro», più soldi possibile il prima possibile e, soprattutto, aumenti uguali per tutti senza distinzione tra settori o categorie né tra operai e impiegati. Avevano sostenuto che «per far saltare il piano del capitale» gli aumenti dovevano andare ad aggiungersi alla parte fissa del salario, con la conseguente abolizione di tutti gli incentivi alla produttività come il cottimo o ipremi (h produzione. Sindacavamo estremo obiettavano altri gruppuscoli più ideologici, occupati a discettare di imperialismo, di lotta contro il «revisionismo», di interpretazioni del pensiero di Lenin o di {(rivoluzione permanente». Si erano formati sui Quaderni Rossi e su Classe Operaia, sugli scritti estetizzanti, ma terribilmente coinvolgenti di Mario Tronti. Leggevano libri difficili : Operai e capitale innanzitutto, e testi di Marx dimenticati e riscoperti da poco, indicati con un titolo quasi confidenziale, come ili^ammento sulle macchine o i Grundrisse, da poco tradotti da uno studioso amico di Tronti, Enzo Grillo. Non disdegnavano, però, i classici dell'economia politica. Disprezzavano l'Unione Sovietica e si disinteressavano della Cina. Per loro il comunismo doveva essere qualcosa del tutto nuovo, da reinventare in Occidente, al punto più alto dello sviluppo, dove non era il capitale a essere più debole, ma la classe operaia a essere più forte. Parlavano della classe operaia, anzi, della classe, come se fosse una entità mistica, capace di muovere la storia secondo una logica che era possibile inteipretare, e di cui si poteva accelerare il movimento. Dicevano di trovare nelle fabbriche una figura nuova, l'operaio massa della catena di montaggio, svogliato e ribelle, deprofessionalizzatb e disadattato e non più affezionato, come i suoi predecessori, agli strumenti e al prodotto del proprio lavoro; avevano in mente i giovani meridionali immigrati a Torino negli Anni Cinquanta e Sessanta per lavorare alla Fiat. Gli piaceva essere indicati come operaisti, a chiamarli anarcosindacalisti erano solo, con disprezzo, gli stalinisti più settari e, con ignoranza, i dirigenti degli uffici politici delle questure.
Persone citate: Aldo Grandi, Classe Operaia, Einaudi, Enzo Grillo, Lenin, Mario Tronti, Marx, Tronti
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