La politica, eterna ossessione di Cosa Nostra
La politica, eterna ossessione di Cosa Nostra I CONTATTI CON IL POTERE PER CERCARE DI PILOTARE NOMINE E APPALTI La politica, eterna ossessione di Cosa Nostra Francesco La Licata LASCIA interdetti, questo remake di «mafia e politica» ambientato nella giovane Seconda Repubblica. Tanto da cedere all'incredulità di fronte alla trama di un film che sembra ricalcare un copione antico come i mali della Sicilia. E allora viene da chiedersi se è mai possibile che - come se gli avvenimenti degli ultimi anni non fossero mai accaduti o se la storia recente sia scivolata come pioggia sugli impermeabili -, se è mai possibile che ci ritroviamo ancora di fronte alla stessa malattia di sempre. Certo, l'indagine è solo all'inizio e perciò bisogna concedere a tutti i sospettati il beneficio del dubbio sulle conclusioni raggiunte dalla magistratura. La presunzione di innocenza vale per gli arrestati e vale, a maggior ragione, per il governatore della Regione, Totò Cuffaro, raggiunto da un avviso di garanzia che ipotizza il reato di concorso in associazione mafiosa. Il presidente - come anche il parlamentare Saverio Romano - avrà modo di far valere le proprie ragioni e, c'è da esser certi, dimostrerà la propria estraneità alle contestazioni mossegli. Ma, al di là delle singole responsabilità ipotizzate dai pubblici ministeri, è il quadro generale dell'inchiesta che sparge inquietudini. Anche alla luce del fatto che, questa volta, l'indagine non sembra il risultato di racconti ed interpretazioni ascoltati dalla voce di collaboratori di giustizia. Stavolta le voci carpite dai carabinieri del Ros, investigatori poco inclini ad assecondare suggestioni di natura politica, sembrano essere quelle dei diretti protagonisti della trama. Medici, imprenditori e, soprattutto, un assessore comunale, Domenico Miceli, (già autosospeso dall'incarico quando si conobbe parte del contenuto delle intercettazioni in questione) che dibattono tranquillamente di strategie che avrebbero dovuto consentire il successo elettorale di personaggi in grado di garantire «cose buone» per l'organizzazione. Il motore della congiura è un medico: Giuseppe Guttadauro, vecchia conoscenza della «zona grigia» di Cosa Nostra, la palude che salda gli interessi di certa borghesia con quelli di una lobby che si adopera per «governare» tutta un'attività politico-amministrativa e della società civile. Dalla scelta, appunto, del personale politico destinato ai posti-chiave, alla designazione, per esempio, dei dirigenti delle strutture sanitarie. Compito dei magistrati sarà, adesso, di separare - come si dice - il grando dalla crusca e definire quanto del contenuto delle conversazioni intercettate sia accertato e quanto, invece, possa essere conseguenza di discorsi generici o - addirittura - di millantato credito. A giudicare dalle parole con cui il procuratore Piero Grasso ha commentato gli arresti, esiste il ragionevole sospetto che qual- cosa sia realmente accaduto. Dice il procuratore che dalle intercettazioni emerge che «i mafiosi cercano di influenzare e pilotare i flussi finanziari per le opere pubbliche, ma anche le nomine di primari o medici nelle strutture sanitarie». La risposta del governatore siciliano, che vanta il plebiscito elettorale (un milione e mezzo di voti) di due anni fa, è affidata alla metafora che «c'è qualcuno che sta prendendo in giro i siciliani» e «questo non sono io». Indirizzare e pilotare i flussi finanziari, le nomine dei primari, il sottogoverno, gli appalti: sembra un film già visto. Professionisti che si tramutano in mafiosi e cercano il contatto con la pohtica. Quello che «cal- deggia» l'elezione di un amico perchè deve andare all'assessorato comunale'alla salute: operazione poi realmente avvenuta. L'altro che cerca strade per ottenere la variante al piano regolatore. Sembrano scene dei bei tempi di Lima e Ciancimino. Già, che coincidenza quell'imprenditore arrestato, 'Francesco Buscemi. Era scomparso nell'anonimato dopo qualche disavventura giudiziaria dovuta alla sua militanza nel gruppo di don Vito Ciancimino, chiacchieratissimo ex sindaco di Palermo dei favolosi Anni Sessanta. Ora è improvvisamente tornato alla ribalta, tanto da finire in carcere con gli altri. Hanno il chiodo fisso della politica, i mafiosi del dopo Riina. Si gettano a pesce su qualunque chimera ritengano buona per «il bene del popolo di Cosa nostra». Ovviamente ciò non vuol dire che le cose vadano sempre come loro auspicano. E si lamentano, recriminano su Marcello Dell'Utri, che «non si è fatto più vedere» dopo l'elezione. Pretendono, come se avessero ricevuto assicurazioni: «Berlusconi non può pensare solo a lui, ai suoi processi, deve risolvere anche i nostri problemi». Voci raccolte l'il maggio del 2001 in casa del medico Guttadauro a colloquio col mafioso Enzo Cascino: il dialogo è tutto sulla legislazione antimafia ed è un continuo riferimento alla necessità di interventi politici per alleggerire la pressione dello Stato sul carcere. Una intercettazione, questa, die deve aver preoccupato parecchio gli apparati investigativi e quelli di sicurezza, se è vero che quella conversazione può aver dato luogo all'infonnativa del Sisde che lanciò l'allarme su Marcello Dell'Utri e Cesare Previti, indicandoli come possibili obiettivi di Cosa Nostra nell'ipotesi di una ripresa della guerra allo Stato. Ma l'ultima scoperta della mafia sembra la comunicazione. Una vera passione per il potere di persuasione dei giornalisti: Salvatore Aragona, uno dei medici arrestati, parlando col collega e complice Guttadauro, sostiene di poter contattare il giornalista Lino Jannuzzi per «offrirgli» spunti di riflessione sulla legislazione antimafia, «imbeccate» lanciate «perchè lui sa cosa fare». Ma tutto ciò, come dice uno degli imputati, potrebbe essere solo «discorsi da bar». L'imprenditore arrestato aveva militato nel gruppo del sindaco della Palermo degli Anni Sessanta Ora la mafia sembra aver scoperto il valore della comunicazione nella guerra contro lo Stato
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