L'«Otello» di Dodin trionfo per la Frittoli di Giangiorgio Satragni

L'«Otello» di Dodin trionfo per la Frittoli L'OPERA DI VERDI IN ONDA QUESTA SERA SU ARTE L'«Otello» di Dodin trionfo per la Frittoli Giangiorgio Satragni FIRENZE «Chi è questo parquettista?» si chiedeva lo saettatore dietro di noi appena preso j,. ,oo al Comunale di Firenze, dove subito si vedeva la scena per la nuova produzione, al Maggio Musicale Fiorentino 23 anni dopo Muti, dell'«Otello» di Verdi, diretto da Zubin Mehta e allestito da Lev Dodin. Lo scenografo e costumista David Borovksy ha infatti creato una scena unica con quinte e fondali che parevano davvero parquet messi in verticale: un intero catalogo di legni combinati fra loro secondo figure geometriche, quadrati, quadrati ruotati di 45 gradi, diagonali, cornici rilevate cromaticamente, secondo un gioco di linee che fa di Cipro e del palazzo del governatore Otello un luogo astratto. Dodin ha voluto insistere sulla cornice astratta del dramma e sul suo cuore realistico, al punto che il coro non è più popolo o corte, ma un semplice osservatore, canta come in un oratorio, su pedane, in abito da sera e con le cartelline della musica in mano. L'azione è invece in abiti quattrocenteschi, tutti neri per gli uomini, il bianco per l'innocenza di Desdemona: solo Otello, il moro, il diverso, veste caffetani rossi e neri. Dodin, regista di prosa dal segno forte che al teatro d'opera ha già dato spettacoli memorabili, si è guadagnato un po' di fischi alla fine, forse anche per quella struttura di letto a baldacchino portata in scena già nel secondo atto, luogo ristretto dell'azione e proiezione dell'incubo di Otello, che in un accesso di gelosia butta lì sopra Desdemona e tenta di usarle violenza. Un aspetto discutibile, in questo luogo grande ma claustrofobico: però la grandezza di Dodin resta nel puro lav oro registico di scavo psicologico e nella recitazione dei personaggi, con l'aiuto delle luci (Jean Kalman) pronte a mutarsi, appunto in funzione psicologica, da fasci laterali in frontali proiezioni delle ombre grandi dei personaggi sul fondale. Certo il regista, nello scavo in profondità fino a ogni minimo gesto o sguardo, ha dovuto fare i conti con i limiti di recitazione intrecciati ai limiti canori degh interpreti: l'Otello di Vladimir Galouzine e lo Jago di Carlo Guelfi. Soltanto con la Desdemona di Barbara Frittoli e l'Emilia di Gabriella Sborgi lo spettacolo ha toccato corde profonde: il tormento della donna, il presentimento della morte nel quarto atto, la sua disperata separazione dall'ancella risalteranno forse ancor più nella ripresa video che andrà via satelhte su Arte questa sera. Anche dal lato solo musicale la purezza angelicata della Frittoli nella Canzone del salice e nell'Ave Maria ha segnato, con la dolcezza dell'orchestra guidata da Mehta, il momento più convincente della serata. Durante tutta l'opera il maestro, qui all'unico impegno teatrale al suo Maggio, ha scelto un respiro ampio e rubato per ogni melodia che caratterizzasse Desdemona: carezze, sempre più commosse ed estreme, come estreme erano le esplosioni di suono della tempesta, della gelosia e del terrore. g.satragni@tln.lt

Luoghi citati: Cipro, Emilia, Firenze