SOS Italia, l'industria è affondata di Giuseppe Berta

SOS Italia, l'industria è affondata IN UN SAGGIO IL SOCIOLOGO GALLINO LANCIA L'ALLARME PER IL DECLINO DELLA GRANDE IMPRESA. SOLO L'AUTO RESISTE SOS Italia, l'industria è affondata Giuseppe Berta L tema del declino economico e industriale dell'Italia contemporanea ha serpeggiato per tutta la prima parte di quest'anno. Ha ispirato polemiche politiche, confronti sindacali ed è stato persino all'origine di imo sciopero dichiarato dalla Fiom-Cgil qualche mese fa. Infine, è tornato nelle «considerazioni finali» che il Governatore Antonio Fazio ha letto all'assemblea della Banca d'Italia il 31 maggio, che peraltro riecheggiavano questioni già affrontate nella relazione dell'anno scorso. Magari con accenti diversi e con proposte di terapie del tutto dissimili, non sono state poche le voci di quanti, negli ultimi visti, hanno descritto un Paese al bivio, chiamato a scegUere tra un nuovo cammino di sviluppo e un mesto ripiegamento su se stesso. Molti, anzi, sembrano ormai intravedere come più probabile la strada del declino per una nazione che sta perdendo posizioni nel commercio mondiale e che soprattutto sembra incerta sulle proprie opportunità per il futuro. Nessun osservatore però si era spinto fino al punto a cui giunge oggi Luciano Gallino con un pamphlet appena uscito da Einaudi, la cui tesi appare enunciata fin dal titolo: La scomparsa dell'Italia industriale (pp. 106, 6 7). Secondo Gallino, il nostro Paese è già andato oltre il bivio ricordato prima e, di fatto, ha imboccato un vicolo cieco, quello che lo ha portato a liquidare le componenti più consistenti e importanti del proprio apparato produttivo. Il sociologo torinese non è mai stato fra coloro che hanno esaltato le virtù delle imprese minori o dei distretti industriali; ha sempre sostenuto, invece, il carattere determinante che possiede il sistema delle grandi imprese per lo sviluppo economico, sociale e civile di una nazione. L'Italia, per le dimensioni che ha, non può, a suo avviso, fame a meno e tuttavia è proprio quello che ha finito col succedere, in particolare du- rante l'ultimo decennio. Per Gallino, l'Italia industriale si riduce ormai a ben poco. Il sogno dell'informatica che Adriano Olivetti aveva coltivato fin dagli anni cinquanta si è dissolto del tutto. Gallino, che alla Olivetti ha lavorato a lungo dopo esservi stato assunto da Adriano, ricorda l'infausta decisione presa già a metà del decennio sessanta di cedere la divisione elettronica alla General Electric, quando la società di Ivrea conobbe la sua prima vera crisi aziendale, come se si trattasse di un pernicioso «neo da estirpare», visto che l'informatica sembrava richiedere grandi investimenti a fronte di un ritomo incerto. In un periodo più recente, la Olivetti non ha avuto la tenacia di replicare con altri modelli la fortuna di mercato del computer M24 e si è gradualmente estromessa dall'informatica. Quanto all'aeronautica civile, essa è stata sempre tenuta in tono minore, fino alla decisione recente dell'Italia di non partecipare al consorzio per la costruzione dell'Airbus, rivelatosi ora come l'affare più cospicuo del settore, dopo che il successo dell' aereo europeo ha sopravanzato i risultati dell'americana Boeing. La storia della chimica itahana, com'è noto, si è risolta in una devastante vicenda di lotte di potere, che hanno avuto l'esito di stroncare un colosso come la Montedison. Grandi consumatori di telefonia cellulare, gh italiani non si sono comunque inseriti nel campo della produzione delle tecnologie ad essa necessarie: un paradosso, per chi ha dato i natali a Guglielmo Marconi che ha giocato un ruolo di pioniere nelle telecomunicazioni. E poi l'Italia ha la colpa, agh occhi di Gallino, di aver ceduto alcune delle proprie aziende più tecnologicamente d'avanguardia a gruppi stranieri, come è successo per il Nuovo Pignone di Firenze, andato agh americani, per la Fiat Ferroviaria, inventrice di un treno come il Pendolino, che è stata venduta ai francesi, per altre attività del Gruppo Ansaldo. Non resiste ormai che un'ultima frontiera su cui si gioca il destino di ciò che ancora resta dell'Italia industriale e dei suoi marchi storici: è la produzione automobilistica. Essa rimane nella serie A dello sviluppo economico, dove non ha la possibihtà di rivaleggiare con i maggiori, quando le è piuttosto congeniale la serie B, in cui ha tutte le carte in regola per primeggiare. Quella del «capitalismo molecolare» non è un'immagine che aggradi a Gallino, persuaso che soltanto le grandi dimensioni consentano investimenti significativi nelle funzioni di ricerca e sviluppo e un'attività innovativa in campo tecnologico degna di questo nome. Colpisce, tuttavia, che Gallino faccia dell'automobile il paradigma dello sviluppo industriale, in un momento in cui questo settore è investito da una turbolenza che ne scompagina l'assetto dalle fondamenta. L'Economist del 14 giugno ha dedicato la copertina alla crisi delle grandi case automobilistiche degh Stati Uniti, che rischierebbero addirittura di estinguersi: nei giomi in cui la Ford celebra il proprio centenario, pochi sono pronti a scommettere che essa ce la farà ad arrivare alla fine di questo decennio. È probabile che il sistema industriale sia entrato in un'epoca di metamorfosi tale da indurre a ridisegnare le sue mappe. Accanto ai fenomeni di declino meritano probabilmente di essere indagate anche le dinamiche di cambiamento positivo e le mutazioni che lo stanno attraversando. L'industria d'oggi non va forse esaminata soltanto mediante i processi di sottrazione da cui è toccata, ma rispetto alle forme di gemmazione che genera. Dal suo ceppo si sono distaccati dei germogli che si stanno innestando su altre realtà, cui portano in dote la logica operativa che è tipica dell'industria. Nel medesimo tempo, stanno crescendo anche in Italia quelle che sono state chiamate le «multinazionali di nicchia», artefici di un «quarto capitalismo» - analizzato da un giovane studioso della Bocconi, Andrea Colli - sempre più rilevante per il futuro italiano. Può darsi che non tutto sia perduto per l'Italia industriale. Il sociologo Luciano Gallino dedica al sistema produttivo il pamphlet Lo scom^rsade/nta/ia industriale per Gallino «l'industria delle industrie», come l'ha definita qualche anno fa lo storico David S. Landes, a motivo della sua capacità di creare organizzazione manifatturiera e diffondere occupazione e ricchezza. Se il nostro Paese non riuscisse a preservare la propria industria automobilistica, finirebbe col diventare una realtà dipendente, perché le decisioni fondamentali su cosa, come e dove produrre verrebbero assunte fuori dei nostri confini e al di là della nostra possibilità di esercitare un' influenza effettiva. Gh argomenti di Gallino non sono fatti per piacere a chi è convinto che i distretti industriali rappresentino l'autentica via itahana allo sviluppo, come l'economista Giacomo Becattini, il quale da quasi trent'anni invita a considerare le virtù del made in Italy e ritiene semmai che a perseguire strategie di espansione degh impianti produttivi si sia causata una grande dispersione di risorse. E nemmeno a un sociologo dei sistemi territoriali come Aldo Bonomi, da tempo fautore della tesi che all'Italia non convenga giocare