IL POETA DEL GOL Nel '75 a Malindi mi feci crescere i baffi GOL

IL POETA DEL GOL Nel '75 a Malindi mi feci crescere i baffi GOL L'ESTATE INDIMENTICABILE IL POETA DEL GOL Nel '75 a Malindi mi feci crescere i baffi GOL la storia Roberto Pavanelio IL popolo del calcio conosce bene l'immagine del Claudio Sala che scatta e dribbla sulla fascia, raggiunge il fondo e mette sul testone di Pulici il pallone da spingere in rete. Maglia granata con il 7 sulla schiena e uno sguardo ispirato sopra gli immancabili baffi neri. Sono nati un'estate africana, quei baffi: divennero il marchio dell'indimenticata ala destra del Torino Anni'70. Era il 1975. Di lì a un anno circa il Toro sarebbe diventato, per l'ultima volta, campione d'Italia. Sala, insieme ad alcuni compagni di squadra, fidanzate e mogli al seguito, partì per il Kenya: «Con me c'erano Roberto Salvador!, Renato Zaccarelli, Fabrizio Gorin e Manfredi, il nostro secondo portiere. Avevamo voglia di andare in un posto dove non venissimo riconosciuti e scegliemmo il Leopard Beach di Malindi, l'albergo di proprietà di Orfeo PianeUi e dei presidenti di Milan e Arezzo». Fu un'estate indimenticabile per il Poeta del gol che ancora oggi ne porta i segni: «Mi feci crescere i baffi pensando che al mio rientro in Itaha avrei potuto tagliarli. E invece per non restare con il.segno dell'abbronzatura decisi di rimandare. Così nacque il Claudio Sala coi baffi. Vincemmo lo scudetto ed eccoli ancora qui. Non li ho più tagliati». Fu una vacanza che portò alla,cavalcata tricolore e, poiché, squadra che vince non si cambia, l'anno successivo lo stesso gruppo andò a Bangkok e all'Isola di Bah. Una doppia esperienza di quelle che rimangono nel cuore: «Furono vacanze diverse dal solito per noi che eravamo abituati a passare l'estate in Itaha. Scoprimmo, sia in Africa sia in Asia, un mondo che non era quello del benessere occidentale in cui vivevamo». Un mondo in cui era normale giocare a calcio scalzi: «11 direttore dell'albergo organizzò una partitella con i ragazzi del luogo in un Campetto vicino. Ricordo che giocavano senza scarpe e che spesso dovevamo interrom- pere la partita perché in mezzo al campo passava gente con i sacchetti della spesa o addirittura in motorino. Rimanemmo molto colpiti e al rientro a Torino mandammo a quei ragazzi.un po' di scarpe da calcio». Erano tempi in cui ancora esisteva l'attaccamento alla maglia. Si giocava nella stessa squadra per nove, dieci e più armi. «Quando nel '69 arrivai al Toro trovai molti giocatori che indossavano quella maglia da molti anni, che arrivavano dal settore giovanile. Furono gente come Ferrini, Carelli, Moschino, Cereser. Fossati, Bolchi, Rampanti e Adoppi che mi iixaegnaronò cosa significava giocare nel Toro. Come si può pensare che oggi ciò sìa ancora possibile? Un calciatore rimane uno o due anni o addirittura pochi mesi e poi se ne va. Come può tornare ad esistere un Torino vincente come il nostro? Anche la presidenza di Orfeo PianeUi è stata l'ultima duratura, poi sempre gestioni di pochi anni». E gli avversari erano avversari e non possibili compagni: «Tra noi e quelli della Juve ci si diceva buongiorno e buonasera. Non dico che ci si odiasse, ma di certo non c'era amicizia, quella semmai è arrivata dopo. Ricordo che in Argentina, ai Mondiali del '78, la Nazionale era composta dal blocco Juve e dal nostro. A tavola loro stavano seduto ad i un'estremità del tavolo, noi dall' altra, e, in mezzo Pacchetti e Antognoni a segnare il confine». Ma oggi le cose. sono molto diverse: «Ho dovuto smettere di giocare per scoprire ad esempio che Francesco Mormi era un ragazzo simpatico e non solaun duro marcatore. E poi i figli nostri e quelli dei bianconeri sono cresciuti insieme ed ecco che allora i miei figli Gianluca e Gianmarco sono amici di Riccardo Scirea, Luca Cuccureddu, Davide Lippi, Marco Zoff e così via». Amicizie inter partes che invece nei ' battagheri '70 erano impossibili, anzi. Sala, Zac e gli altri facevano dell'unione una delle armi vincenti. «Eravamo sempre insieme. La domenica sera le nostre famiglie s'incontravano e i piccoli giocavano tra loro» e se c'era da mettersi nei guai tanto valeva fare gioco di squadra, come accadde a Bangkok: «Ci avevano parlato dei tipici massaggi del luogo, quelli fatti senza mani... e così decidemmo di provare. Nessuno ha mai raccontato alle compagne cosa era accaduto veramente, ma loro non la presero troppo bene. Il giorno dopo ci trasferimmo in aereo a Bali, noi da una parte e le donne dall'altra, in aperta polemica». E non fu l'unica volta in cui i giovani granata si misero nei pasticci; «In Kenya ci sorprese un terremoto e si temeva l'arrivo di un maremoto. La paura fu tanta che passammo la notte dormendo fuori dall'albergo cercando il posto mighore per non essere investiti dalle alte palme in caso di maremoto. Alla mattina ci svegliammo in un bagno di sudore con la gente del luogo che ci chiedeva se fossimo matti». Sono passati quasi trent'anni e chissà che non sia il cago di rifare le valigie: ((Non siamo più tornati in quei posti ma l'amicizia resiste. Magari ora che i figli sono grandi potremmo ritentare l'avventura e scoprire come, oltre ai luoghi, siamo cambiati anche noi». . ,. parte 01 1716 ^^ All'inizio ™" pensavo che al mio rientro in Italia avrei potuto tagliarli E invece per non restare con il segno dell'abbronzatura decisi di rimandare Vincemmo .^scudetto ed eccoli ancora qui Da allora fanno A A Ife^fe Non siamo ™™ più tornati in quei posti ma l'amicizia coni compagni di allora resiste sempre Magari ora che i figli sono grandi potremmo ritentare l'avventura e scoprire come, oltre ai luoghi, siamo cambiati AA anche noi ^7 Sala sul campo da gioco: l'ex ala destra resta una bandiera del Torino Anni 70 Estate '76, Claudio Saia con la moglie a Ball: «I baffi fatti crescere l'anno prima non II ho più tagliati»