La fontana della svedese proibita

La fontana della svedese proibita 1959. FELLINI GIRA «LA DOLCE VITA» La fontana della svedese proibita I film racconta uno spirito nuovo ed euforico a fine dell'aria chiusa degli Anni Cinquanta: scandalizza,incanta, diventa un mito immortale Lietta Tomabuoni IN piazza Fontana di Trevi a Roma per prime arrivavano le ragazze, sottobraccio, facendo ondulare le sottane leggere, miagolando la canzone del momento, «Maaagic Moooments...». Più tardi arrivavano i reduci dai pranzi o da teatro, i giornalisti, i militari in borghese, i perditempo, i moralisti, i ladri di portafogli: mezza Roma voleva assistere all'insolito spettacolo d'una diva hollywoodiana buttata di notte nell'acqua. Scriveva sull'Europeo Nerio Minuzzo; «Era l'una passata ma la piazza, attorno alla ringhiera di ferro, era ancora zeppa di gente curiosa... All'una e mezza Anita Ekberg era la sola cosa che si muovesse... Camminava adagio nella fontana, con i capelli biondi sciolti sulla schiena nuda. St sulla schiena nuda... Raggiunse* Itf^tìàtep'pàààò'la'mano sul ventaglio d'acqua, si girò facendo volare l'abito dì velluto inzuppato. Gli spruzzi della cascata le innaffiarono anche il petto e il viso... Riattraversò la vasca in fretta, ma quando fu nel mezzo si tuffò dentro del tutto, raccolse sul fondo una monetina e la lanciò a Fellini ridendo: «Prendi, signor regista!» gridò in italiano. La folla, ammirata, le tributò un applauso caloroso». La città e il suo narratore s'incontravano di notte. Neil' estate del 1959 Federico Fellini girava La dolce vita: «Giostra barocca, ridda di immagini per un affresco della società contemporanea, ritratto d'un mondo fatuo, equivoco e perfino sinistro», scriveva Tullio Kezich nel bellissimo Bloc notes che sarebbe rimasto il documento essenziale della nascita e della realizzazione del grande film. Come anno, il 1959 non avrebbe avuto senza Fellini molto di speciale: cade il governo Fanfani, sostituito da un monocolore democristiano Segni appoggiato dal centrodestra (Andreotti è ministro della Difesa) ma al Congresso della Democrazia Cristiana Aldo Moro viene eletto segretario; Salvatore Quasimodo e Emilio Segrè vincono il Premio Nobel, escono A qualcuno piace caldo di Billy Wilder e Hiroshima moti amour di Alain Resnais; in Francia nasce Asterix; William Burroughs pubblica II pasto nudo e Pier Paolo Pasolini Una vita violenta, anticipazioni dell' aria diversa degli anni Sessanta. Un'aria euforica, nervosa, di sospensione e di attesa, vibrava però nella città: qualcosa stava per cambiare, finiva l'aria chiusa degli Anni Cinquanta, e La dolce vita era come un annuncio, anche se pochi mesi dopo, a Milano, gli spettatori dell'anteprima avrebbero sputato addosso al regista e al protagonista. La dolce vita termina il 27 agosto (anche stavolta esiste un secondo finale del film che Fellini scarterà, con Mastroianni solo tra automobili che si allontanano). La lavorazione era cominciata il 16 marzo al teatro 14 di Cinecittà, preceduta da una nùvola di chiacchiere, curiosità, malignità. Un settimanale di pettegolezzi e cronaca mondana, detestato dal regista, scriveva, prendendo in giro la modesta cafè-society romana: «L' asserire di esserci (nel film) costituisce al momento la più raffinata esibizione per gli appartenenti alla maritozzo's society e alla gazzosa's society della capitale». Il copione de La dolce vita dava un senso alla realtà, doveva mol- to alla cronaca: il «miracolo» dei due bambini bugiardi che dicevano di vedere la Madonna era avvenuto nel 1958 a Latteria di Maratta Alta vicino a Terni, ed era stato riferito su Settimo giorno da Tarquinio Maiorino; l'uccisione dei bambini e il suicidio da parte dell'intellettuale Steiner era un episodio accaduto poco prima in Francia; i fotoservizi e la memoria di Tazio Secchiaroli, insieme con i rotocalchi d'epoca, avevano fornito personaggi e storie. Di via Veneto ne esistevano due, quella vera e quella minuziosamente ricostruita a Cinecittà. Se no, l'osmosi era perfetta; ora era il film a invadere le pagine dei giornali, a dominare l'interesse dei romani. Già la troupe e il set erano popolatissimi. I romani, al solito, non rispettavano nessuno: a Tor di Schiavi, nel quartiere popolare Tuscolano, dove si girava la casa di una prostituta, quando Fellini arrivando scese dall'automòbile venne accolto dalla folla con il grido «'A sacco de merda!»; alla magrissima Anouk Aimèe toccò l'urlo «'A canestro d'ossa!». E l'invito «Portala al Veranoi», ossia al cimitero di Roma,, rivolto al regista già di per sé dubbioso: «Ho paura che sia un po' il guanto senza la mano». Quando si girò la festa dei nobili al palazzo Odescalchi di Passano di Sutri, con una quarantina di aristocratici veri e finti (il principe Wolkonski, la principessa Doris Pignatelli, la stupenda Nico Otzak), la contessa Cini si rammaricava: «In parecchie case ci hanno messi sulla lista nera», tanto i nobili erano (giustamente) convinti che Fellini li avrebbe trattati con sarcasmo e deploravano i loro amici complici del regista. Il nome di uno dei fotoreporter, personaggi onnipresenti, Walter Santesso detto Paparazzo, fece del termine paparazzi un'espressione proverbiale; poche settimane dopo Dolce vita era un maglione a girocollo un po' sbrindellato. Se un incendio distruggeva parte dell'albergo Ambasciatori affacciato su via Veneto facendo anche tragiche vittime, la mattina dopo Fellini si sentiva chiedere: «Dottore, facciamo pure l'Ambasciatori?»: verità e finzione non potevano distinguersi in modo netto, né ignorarsi una con l'altra, nel film mai dimenticato, indimenticabile. Alla fine Roma aveva la sua epopea, il cinema italiano aveva un'opera magnifica, Marcello Mastroianni aveva una celebrità che non si sarebbe cancellata mai più, il vocabolario italiano s'era arricchito di nuovi termini. Fellini era abbastanza contento però confuso, terrorizzato dal lavoro di post-produzione che aveva ancora da fare con urgenza, incerto sul risultato, infinitamente stanco. Disse: «E' stato come raccontare un amplesso nell'atto di compierlo». Marcello Mastroianni e Anita Ekberg nella celebre scena della fontana nella Dolce vita: Fellini termina le riprese del film il 27 agosto 1959

Luoghi citati: Francia, Milano, Roma, Sutri