Ferrara: vi spiego perché il Cav. ha vinto di Giuliano Ferrara

Ferrara: vi spiego perché il Cav. ha vinto QUANDO PENSA DI ESSERE SULLA SCIA DELL'OPINIONE DELLA MAGGIORANZA DEGLI ITALIANI, NON LO FERMA NESSUNO Ferrara: vi spiego perché il Cav. ha vinto Dopo la contestata trasformazione in legge del Lodo Maccanico da parte della Camera, abbiamo chiesto a Giuliano Ferrara, sostenitore, con il Foglio, della linea dura nei confronti dei magistrati, un'analisi sulle conseguenze che questa avrà sul futuro politico di Silvio Berlusconi e del suo governo. Giuliano Ferrara HO capito questo. Berlusconi non è il presidente del Consiglio, è Berlusconi. Non sarà il presidente dell'Unione europea, sarà Berlusconi. Fu cosi anche per l'imprenditore. Da costruttore, vendeva personalmente gli appartamenti. Da geniale e tenace creatore della tv commerciale o libera, ruppe il monopolio della Rai, stabilmente, occupandosi dei fondali rosa confetto delle scenografie, scegliendo le americanate che hanno consolato le serate di milioni di italiani, organizzando un'astuta rincorsa dei prezzi per uccidere una concorrenza incapace e incerta, mettendo in piedi il più poderoso e influente lobbying politico della storia d'Italia (per un cavillo di legge che lo incoronava nel regno che già era suo di fatto, quello dell'emittenza privata, cinque ministri del partito Rai si dimisero dal governo della Repubblica). E' immensamente ricco, la sua ricchezza è popolare, nel senso che non è segreta, non è ineffabile, non è conventicolare. E' la ricchezza di un outsider dell'economia e della politica. Luccica come la pubblicità, altro veicolo di capitalismo e di democrazia odiato dalla nostra intellighenzia pietrificata e rivoluzionato dalle tecniche berlusconiane. Il centro sinistra dispone di decine di presidenti del Consiglio in pectore, tutti con la loro brava grisaglia, le loro abitudini e frequentazioni giuste, compreso qualche magistrato militante, nel complesso convinti che la legge è uguale per tutti anche perché non ne conoscono certi strani rigori. Ma è gente che non ha conosciuto personalmente né la gioia né il dolore della vita pubblica. Gente che non fa gaffe se non raramente (e la gaffe, ricordiamolo, è dire una verità che sarebbe meglio tacere), gente esperta sempre nel dissimulare la verità o se preferite la personalità sotto il manto di un gergo comune universalmente accettato, gente che ha una carriera custodita e protetta dalla banalità del bene. Però in questa pletora di presidenti del Consiglio in pectore, buoni o mediocri professionisti della politica, manca il trascinatore, l'artista, quello capace di fare cose impensabili, quello capace di sbagliare in grande come tutti coloro che fanno e disfano in grande, di coltivare ambizioni smisurate, di avere una stima gigantesca di sé e insieme una sfolgorante autoironia. Manca lui, il Cav., e con lui manca l'energia, la vitalità. Anche come imputato, Berlusconi se l'è cavata bene. Non è Giulio Andreotti, che si difende nei processi e accetta la sua eliminazione dalla scena politica (e il rischio di essere considerato dai Tribunali il mandante di un assassinio di cui non si conoscono gli esecutori, nella forma surreale del «silenzioso assenso»). L'imprenditore lombardo è diverso, e molto, dal principe della Chiesa e della Democrazia cristiana. La surrealtà non l'accetta nemmeno per isbagliò. E si difende da nove anni dai processi, e quando entra nei processi rovescia il tavolo, glielo dà lui lo scandalo, e non ha riguardi per nessuno. E se ha legato il suo destino a quello di una maggioranza parlamentare solida, e viceversa, non gli manca la faccia tosta democratica, a suo modo rivoluzionaria, di impiegare la forza per proteggere se stesso e la sua funzione da quella che considera una persecuzione, un accanimento unilaterale. Toni alti, quante buone azioni si commettono in vostro nome! Quando Berlusconi pensa di essere sulla scia dell'opinione della maggioranza degli italiani, e il giudizio generale sull'imparzialità della magistratura negli ultimi dieci anni ne fa fede, non lo ferma nessuno. Ci vuole ben altro che un girotondo o una lezione di liberalismo e di bilanciamento dei poteri per fermare, dopo che ha subito un paio di ribaltoni, questa forza della natura che, al culmine di sette anni di opposizione costituzionale, è tornata a governare per volere degli elettori due anni fa. Ora che cosa dobbiamo aspettarci? Il lodo dell'improcedibilità approvato con il sostanziale consenso dell'opposizione, che si limita a un «no» di cui per prima non è convinta, alleggerisce il fardello dello scontro con la giustizia delle procure politicizzate. Il lodo al tempo stesso libera e vincola Berlusconi, nella sua doppia veste di cittadino e di capo del governo. La verifica non mi sembra un problema, è la solita vecchia metodologia con le complicazioni della visibilità. Ma farà la riforma delle pensioni? Avvierà la devoluzione dei poteri? Spingerà le Camere per l'approvazione di una legge sul conflitto di interessi? Gambiera nel profondo il sistema di giustizia, separando le carriere di chi accusa e di chi giudica vent'anni dopo l'arresto di Enzo Tortora, dieci anni dopo il tintinnio delle manette che mise fine alla vecchia Repubblica e gli spianò la strada, per la solita eterogenesi dei fini? Farà le grandi opere? Taglierà ulteriormente le tasse? Troverà i soldi per una scuola riformata nel segno di un rapporto più stretto con il lavoro? Riformerà la spesa sanitaria e metterà sotto controllo quella delle Regioni? Avrà ragione delle forti lobby europee che lo detestano, segnatamente quelle francesi, imponendo il rispetto per una presenza non subalterna dell'Italia? Metterà a frutto, nel mondo uscito dall' 11 settembre, i rapporti nuovi e solidali dell'Italia governata da lui con rAmerica e Israele, in specie nella lotta al terrorismo intemazionale? Non si sa. Di cose ne ha fatte più di quante non gliene riconoscano i suoi detrattori, meno di quante sia capace di cantarne lui stesso, a squarciagola. Ma il futuro politico è sempre imprevedibile. So soltanto con assoluta certezza che, se realizzerà tutto questo (o parte di questo), lo si dovrà non al professionismo politico ma al suo senso pratico, al suo istinto personale, a una logica indomabile di strappi e compromessi, e perfino al suo evidente grano di follia, cose che in lui vengono prima del molto celebrato e molto maltrattato (anche dai celebranti) senso dello Stato. Silvio Berlusconi e Giuliano Ferrara

Luoghi citati: Israele, Italia