«Quanta ipocrisia nelle polemiche sul riceverli o no»

«Quanta ipocrisia nelle polemiche sul riceverli o no» LO STORICO GIANNI OLIVA: «LA LORO PRESENZA PUÒ AIUTARCI A RIPENSARE AL NOSTRO PASSATO DI CAPITALE CULTURALE E POLITICA» «Quanta ipocrisia nelle polemiche sul riceverli o no» "" ANNO bene, i rappresentanti delle — istituzioni locali, a ricevere gb eredi di Casa Savoia, che del resto sono stati accolti anche da Carlo Azeglio Ciampi». Parla non un monarchico, ma un uomo di sinistra, l'assessore provinciale Gianni Oliva, che ha firmato numerosi libri di storia dedicati ai Savoia. Per lui, «La loro presenza in città può essere occasione, per Torino, di ripensare al suo passato: pretesto per rileggersi non più solo come Detroit italiana, ma anche, fino in fondo, come capitale dell'arte, della cultura e della politica». Oliva trova «ipocrite» le polemiche sugli incontri degli enti locab con i Savoia: «E' sciocco fare finta di ignorare che non sono persone qualunque. Lo sono le loro persone, ma non la loro ascendenza, che merita rispetto. E' sbagliato stendere tappeti rossi, ma anche non trattarii come discendenti di persone che hanno lasciato in Italia un segno come poche altre». Cinque gli snodi fondamentab che secondo Oliva hanno intrecciato la storia dei Savoia a quella di Torino. «Il primo avviene quando, nell'XI secolo, il secondogenito del capostipite Umberto Biancamano sposò Adelaide, marchesa di Torino ed erede della dinastia degli Arduinici. Di qui comincia la fortuna della Casa, che conquista il controllo dei passi del Moncenisio e del San Bernardo, porte tra l'Europa e l'Italia e punti strategici per il passaggio non solo dei pellegrini diretti a Roma o dei mercanti, ma anche degb eserciti. Controllando i passi, divenne strategica l'alleanza con loro per chiunque intendesse entrare in Italia. Chi era loro alleato poteva spostare i soldati da nord a sud, mentre i nemici dovevano mettere in conto mesi di difficoltà. Non furono mai determinanti sul campo di battaglia quanto sul piano delle alleanze e della diplomazia». Seconda data clou. Il 1563, «Quando spostarono la capitale da Chambéry a Torino, che all'epoca aveva 14 mila abitanti e che da quel momento iniziò a diventare una città importante». Terzo passaggio, «Il regno di Vittorio Amedeo II, dal 1680 al 1731, che trasforma il ducato in regno di Sardegna. E' il re sole italiano, che porta a Torino Juvarra per celebrare il prestigio della dinastia. L'architettura della capitale si trasforma, nascono o si abbelliscono Stupinigi, Venaria, Rivob, Agbè, Moncalieri e Miraflores; alla "corona delle debzie" costituita dai castelli, s'aggiunge la costruzione dei palazzi dell'Isola dell'Assunta, tra via Lagrange, via Maria Vittoria e via Principe Amedeo, che gli aristocratici erigono come dimore per essere vicini al re». Quarto fasto, «Vittorio Emanuele II e il Risorgimento: dopo l'abdicazione di Carlo Alberto, Torino diventa centro d'attrazione di tutta l'inteUigencija italiana, di tutti i liberali e i democratici da cui nascerà il Risorgimento». La quinta tappa cruciale è il rovescio della medaglia: «La scelta di entrare in guerra di Vittorio Emanuele III regala a Torino i bombardamenti del '42-'43, l'occupazione mibtare tedesca e i morti del '43-'45». Per Oliva, «Oggi, il loro arrivo non ha significato, se non la fine di un esilio anacronistico ed illogico: siede in parlamento la nipote di Mussolini, non aveva senso tenere in esilio i nipoti del re. Oltre al fatto che si tiene lontano chi si teme, mentre la Repubblica era ed è perfettamente in grado di non subirne alcuna conseguenza. Forse non avevano gran smania di rivedere l'Itaba e gli itabani, visto che sono trascorsi molti mesi dalla fine dell'esilio. Di certo, possono essere occasione per la città di ripensare alla sua storia, riscoprendo valori, monumenti e ricchezze da spendere in una nuova pobtica culturale». Ig.fav.l Lo storico Gianni Oliva