CONDANNATO A VINCERE

CONDANNATO A VINCERE BERLUSCONI E L'INSTABILITÀ DELLA LEGA CONDANNATO A VINCERE Giovanni De Luna IA rissa innescata dalla sconfitta elettorale si è riaccesa su due -^ questioni cruciali per la Legarla lotta agli sbarchi clandestini e la riforma delle pensioni. E' forse il caso, però, di spiegare l'intera vicenda della partecipazione leghista al governo di centrodestra ricapitolando gli aspetti salienti del ruolo giocato dal movimento di Bossi in questi anni: all'inizio la Lega ha accompagnato il distacco irreversibile tra la società italiana e i partiti storici della prima repubblica; ha poi reso evidente la necessità di una forte discontinuità nelle forme di organizzazione della politica, sottolineando in modo inopinato l'esigenza di una leadership carismatica; ha dato voce e rappresentanza ai soggetti sociali che, dopo aver sguazzato nel marasma degli anni '80, sono stati i protagonisti della seconda repubblica. La Lega è stata «condannata» dalla sua stessa storia ad essere geneticamente incompatibile con la stabilizzazione. Una Lega «matura», quella che Berlusconi e Fini volevano come partner affidabile, avrebbe dovuto quindi inserire forti elementi di discontinuità rispetto a questa sua fisionomia originaria. Per di più, la Lega che era cresciuta «da sola contro tutti», avrebbe dovuto introdurre nel proprio patrimonio politico la questione delle «alleanze». Un trapianto difficilissimo, con reazioni di rigetto sempre in agguato: non dimentichiamo che la grande stagione elettorale della Lega era stata essenzialmente legata a due elementi: la chiarezza sul nemico da combattere (lo stato, il fisco, la burocrazia, i partiti) e il carattere «permanente» del conflitto. Quello che voglio dire è che la Lega, come movimento fortemente identitario è «condannata» alla conflittualità. Finora, a disinnescarne la carica dirompente, a mediare con Alleanza Nazionale (altro movimento fortemente identitario, con valori anche simbolici di segno opposto a quelli della Lega) è bastato Berlusconi. Ed è proprio sul ruolo del leader di Forza Italia che si gioca il futuro della coalizione di governo. Paul Ginsborg ha recentemente sottilineato come l'ostinazione con cui Berlusconi persegue l'affermazione di una leadership individuale, carismatica, vada decisamente «oltre le tradizioni repubblicane italiane». Si tratta di un carisma anomalo anche rispetto alle classiche categorie weberiane, niente affatto extraeconomico o antieconomico, ma, al contrario, «pazientemente costruito entro i limiti, la prassi e i simboli del moderno consumo e della comunicazione, e della moderna società di massa. E' un carisma di accurata manifattura». La legittimazione del potere di Berlusconi non deriva quindi dall'ideologia ma direttamente dal mercato; come tale non ha niente della stabilità monumentale delle leadership carismatiche del Novecento ma è al contrario attraversato da una intrinseca volatilità. Berlusconi ha quotato la sua leadership sul mercato, dandole il fascino della soluzione vincente. Ma una leadership di questo tipo è efficace solo se riesce a vincere sempre.

Persone citate: Berlusconi, Giovanni De Luna, Paul Ginsborg