Una mucca europea «vale» due indiani

Una mucca europea «vale» due indiani OSSI DELLE POLITICHE UE. PRANAB BARDHAN: «I SUSSIDI? IL DOPPIO DEL NOSTRO REDDITO PRO CAPITE» Una mucca europea «vale» due indiani Luigi Grassià VOI italiani volete battervi a Bruxelles per aumentare le quote latte? E siete contenti di aver risolto il problema delle multe per chi ha superato i limiti di produzione? Bravi, ma ricordatevi che ogni mucca europea riceve ogni anno sovvenzioni dall'Ue pari al doppio del reddito prò capite indiano. Cioè pari a quello che due esseri umani, in India, usano per mangiare, vestirsi, spostarsi eccetera, in un anno intero». Il professor Pranab K. Bardhan, autore di queste caustiche osservazioni, è appunto indiano e in teoria potrebbe rallegrarsi che animali sacri come le mucche siano così ben trattati in Europa. Invece è arrivato a Torino su invito del Centro studi Luca D'Agliano per tenere lezione da economista presso la Fondazione Einaudi. Più in particola¬ re, è un economista dello sviluppo e non può trattenersi dall'osservare che gli europei, oltre a far del male a se stessi destinando tanto denaro alle sovvenzioni della Politica agricola comune, nuocciono ai Paesi in via di sviluppo. «Le sovvenzioni all'agricoltura - osserva - e le politiche protezionistiche in Europa, in America e in Giappone sottraggono all'export potenziale dei Paesi in via di sviluppo 20 miliardi di dollari all'anno». Prendete José Bove. Dal punto di vista di Bardhan, il leader «no global» francese è la contraddizione fatta persona. «Bove accusa la globalizzazione di affamare il mondo. Ma per combatterla vuol continuare a proteggere e sussidiare l'agricoltura francese, togliendo mercato ai prodotti del Terzo mondo». Che è poi la stessa cosa che fa Bush, con tutta la sua retorica liberista: l'anno scorso ha fatto vota¬ re aiuti aggiuntivi ai «farmer» americani per 80 miliardi di dollari. Difficile assegnare le parti dei buoni e dei cattivi in un mondo globahzzato in cui Bove e Bush, con le loro retoriche contrapposte, vogliono e fanno le stesse identiche cose. Come se ne esce? Bardhan non crede che sia una buona idea gettar via il bambino della globalizzazione con l'acqua sporca deUe sue contraddizioni. Una rete di norme e di strutture che sostenga il commercio internazionale è indispensabile, perché una volta smantellate le sovvenzioni e le barriere protezionistiche dei Paesi ricchi, i prodotti agricoli dei poveri non fluirebbero comunque verso i mercati occidentali per un processo naturale. «Ci sono altri ostacoli: le norme di sicurezza e sanitarie, la reputazione di qualità e la distribuzione tempestiva, tutte cose che non possono essere garantite dai produttori dei Paesi poveri ma solo dai grandi marchi industriali dei ricchi». Allora serve un quadro di norme intemazionali nel cui ambito i commerci possano avvenire. Serve l'attuale Wto, che Bardhan non vuole eliminare, e in più servono «una certificazione di qualità globale» e «un antitrust globale, in grado di infliggere sanzioni, a cui possano rivolgersi i Paesi poveri per tutelarsi se ricevono una frazione troppo piccola del reddito dei loro prodotti». A quest'antitrust dovrebbero potersi rivolgere, ad esempio, i produttori di banane dell'Ecuador che ricevono dai 2 ai 3 dollari per una cassetta di banane, che in America o in Europa viene rivenduta a 25 dollari. Professor Bardhan, allora lei vuole la globalizzazione delle regole? L'economista non aveva mai pensato a questo slogan, ma risponde: «Sì, mi piace».

Luoghi citati: America, Bruxelles, Europa, Giappone, India, Ossi, Torino