PAURA DI GUARDARE

PAURA DI GUARDARE LA FOTOGRAFIA E IL SENSO DELLA MORTE PAURA DI GUARDARE Edoardo Bruno DOPO Benjamin, che scriveva della fotografia come di uno «choc postumo», e Barthes che dava alla fotografia il connotato «dell'immagine vivente di una cosa morta», è interessante leggere come in questo mondo di immagini, inondato da una proliferazione di ciak, di lampi improvvisi, di piccole e grandi macchine fotografiche che permettono di cogliere in ogni momento l'istante vitalìstico, la gioia, la sorpresa, il dolore, anche scrittori moderni come Don De Lillo e Susan Sontag hanno della fotografia una opinione riduttiva, come rappresentazione di un'idea di morte, di violenza. «Posare per una fotografia è una faccenda morbosa, un cerimoniale di morte, è il passato che si ferma nel tempo», dice più o meno lo scrittore protagonista di Mao 11 di De Lillo, e Susan Sontag, nel recente volume Davanti al dolore degli altri, conferma questa testimonianza di morte, spudorata ed estrema: «Catturare la morte nell'attimo stesso in cui sopraggiunge e imbalsamarla per sempre è qualcosa che solo le macchine fotografiche possono fare». Anzi, aggiunge, «nell'era della fotografia, dalla realtà si pretende sempre di più, l'evento reale può non essere abbastanza spaventoso e perciò va potenziato». Sulla copertina di un libro intitolato La peur des représentations, dello studioso americano Jack Goody, nella prima edizione inglese apparsa nel 1997, si vede un Taleban nel gesto di gettare alle fiamme un film, rifiuto e condanna delle immagini fotografiche considerate portatrici di morte. L'autore non poteva immaginare allora che i Taleban sarebbero divenuti tristemente famosi per la distruzione dei Buddha di Bamyan, ma voleva con quella immagine, scelta per là copertina, affermare questo concetto di morte legato alla fotografia che l'immagine cinematografica per sua natura moltiplica. Certamente nel libro si parla anche delle varie forme che opprimono la rappresentazione, della paura e degli interdetti che pesano ancora oggi sulla figurazione del divino, sulla contrarietà di molte religioni alle immagini, nel cristianesimo primitivo come nella Riforma protestante, o nella civiltà musulmana, in una sorta generalizzata di iconoclastia, ma è interessante cogliere questo aspetto mortuario attribuito alla fotografia, come arresto immediato di qualcosa che improvvisamente contraddice l'idea stessa del movimento, cioè la vita. Questa congiunzione fotografia-morte ha un impatto, se vogliamo, recente sulla nostra cultura, sono state le prime immagini fotografiche del dopoguerra a mostrare l'orrore dei campi di Auschwitz, a far conoscere al mondo la terribile verità dei campi di sterminio.

Persone citate: Barthes, De Lillo, Della Morte, Edoardo Bruno, Jack Goody, Mao, Susan Sontag